La soddisfazione di Gianni Anguilletti, country manager di Red Hat in Italia, parla più di qualsiasi dato. Così, se non è possibile conoscere nel dettaglio le performance registrate nella Penisola dallo specialista mondiale dell’open source, è sufficiente guardare il sorriso di Anguilletti per capire che non devono allontanarsi troppo dai risultati ottenuti a livello internazionale: nell’anno fiscale 2015, chiuso lo scorso febbraio, Red Hat ha infatti raggiunto un fatturato di 1,79 miliardi di dollari, con una crescita del 17% sul 2014, ancora superiore all’incremento del 15% generato dall’esercizio precedente. “E per quest’anno dobbiamo tenere conto anche del cosiddetto ‘vento contrario’ prodotto dal rafforzamento del dollaro”, precisa Anguilletti, “che ci è costato una ventina di milioni. La cosa più rilevante, a mio avviso, è che nel contesto di questo trend di crescita tutta la parte dell’application development (cioè Jboss, OpenStack, OpenShift e Cloud, ndr) è esplosa del 43%”.
Per il manager è merito della continua evoluzione sul piano tecnologico, attraverso il perseguimento di un’offerta caratterizzata da completezza funzionale, apertura e flessibilità (garantita anche da una serie di acquisizioni strategiche), e della trasformazione organizzativa, che ha fatto della focalizzazione su specifici mercati verticali un vero mantra dell’azienda.
“Le imprese hanno sempre più bisogno di piattaforme concepite secondo il modello che Gartner definisce bimodal IT”, conferma Anguilletti. “Non esiste più l’IT che va bene per tutte le stagioni: serve una struttura che gestisca i processi più tradizionali, mission critical e core business, che garantisca resilienza, affidabilità e contenimento dei costi, a cui vanno affiancate soluzioni più agili per far fronte attraverso l’innovazione e la flessibilità a progetti temporanei o a criticità improvvise. In questo senso lo stack che offre Red Hat è il più completo dal punto di vista funzionale e il più sostenibile sul piano economico, anche perché cavalca i trend tecnologici con maggiore potenziale di crescita: big data, dev-ops, cloud e mobility”.
Alla base della nuova proposizione ci sono i container, che possono letteralmente trasportare dati e applicazioni a prescindere dall’infrastruttura che si utilizza. “I container permettono di fare più con meno”, dice Edoardo Schepis, Presales manager di Red Hat Italia, “ed è esattamente ciò che richiedono i nostri clienti. Grazie a una maggiore densità, offrono migliore efficienza operativa, più flessibilità di deployment, nel cloud come nel server, e una conseguente riduzione dei costi. Oggi i container rappresentano una vera alternativa alla virtualizzazione tradizionale”.
Ma Red Hat sta lavorando anche per espandersi sul fronte del mobile e dell’Internet of Things. Dopo aver acquisito per 63,5 milioni di dollari l’irlandese Feedhenry (a cui si sono aggiunte, nel corso dell’anno fiscale, anche Inktank per 175 milioni, ed eNovance, operazione da 70 milioni), specializzata nelle soluzioni che connettono back end e dispositivi mobile, il gruppo sta ora mettendone in condivisione il codice sorgente per sviluppare un framework che unisca la semplicità delle piattaforme public cloud con la sicurezza degli ambienti enterprise. “Non è il nostro mestiere dare vita a soluzioni per smartphone”, dice Schepis, “ma la nostra tecnologia è in grado di integrarle senza porre paletti allo sviluppo applicativo”.
Sul fronte dell’Internet of things, Red Hat vuole mettere ulteriormente a frutto la propria natura di catalizzatore, creando con i partner un gruppo di lavoro capace di porsi come interlocutore ideale per le aziende che hanno bisogno di uno strato tecnologico che ascolti, filtri, storicizzi e trasformi i dati provenienti da sensori, device, veicoli. “Lavoriamo insieme a realtà come Eurotech e Webratio”, spiega Giovanni Pirola, Regional service manager di Red Hat Italia, “mentre dobbiamo ancora coprire il tassello degli analytics”.
L’arricchimento della proposizione tecnologica su mobile e IoT permetterà a Red Hat di allargare il proprio raggio d’azione, tradizionalmente legato agli ambiti finance, telco e PA, in modo da affrontare in maniera specifica anche i mercati del retail e delle utilities. “La completezza dell’offerta deriverà sempre più dalle collaborazioni con gli hardware vendor, da Cisco a Ibm passando per HP, e con gli independent software vendor, come Sap, SAS e Oracle”, chiosa Anguilletti.