Convergenza fra reti, tecnologie e contenuti. Questo trend già in atto nel mercato televisivo costituisce secondo Antonio Sassano, professore dell’Università La Sapienza di Roma tra i massimi esperti di frequenze televisive, un driver importante per la crescita qualitativa della Rai. Non a caso, questo è stato uno dei temi più dibattuti al tavolo tecnologico della maxi-consultazione sul Servizio Pubblico, promossa dal Mise e tenutasi all’Auditorium di Roma lo scorso 12 aprile, a cui il professore ha partecipato insieme ad altri esperti delle istituzioni pubbliche e del settore privato.
“La rete del futuro sarà una rete non specializzata per servizi o tecnologie. Mobile, fisso, satellite e broadcasting per trasportare televisione, radio e internet“, spiega Sassano, citando spesso durante l’intervista a CorCom il ruolo che avranno le reti Cdn (Content Delivery Network, le reti che trasportano online i contenuti, ndr). Del resto, in un mercato televisivo dove contenuti e infrastrutture digitali sono già e saranno sempre più elementi fondamentali di competizione, il versante tecnologico è indubbiamente uno degli aspetti più interessanti e complicati sui quali la Rai dovrà giocare la sua partita. Al tempo stesso, i cambiamenti in atto nel settore televisivo obbligano probabilmente Viale Mazzini a rilanciare ora più che mai la sfida dell’innovazione, per delineare il ruolo che la Rai potrà avere nell’ecosistema digitale della Tv del futuro.
“Capisco di assegnare alla Rai un compito molto difficile, forse impossibile, ma sono convinto che il Servizio Pubblico possa avere un ruolo decisivo nelle reti di Nuova Generazione, analogo a quello che ebbe nei primi anni ’50 nel ‘connettere’ tutti gli italiani con la TV”. Un processo che per l’esperto di frequenze dovrebbe seguire un percorso ben definito: immaginazione della futura rete di diffusione, individuazione di un appropriato intervento del Servizio Pubblico e definizione degli appositi strumenti tecnici.
Professor Sassano, il mercato italiano dei contenuti televisivi si presenta pressoché integrato verticalmente dal punto di vista infrastrutturale. Perché in Italia la Rai e la maggior parte delle altre emittenti utilizzano la propria rete di trasmissione esclusivamente per trasportare i propri programmi radio-tv?
Negli ultimi 30 anni il panorama televisivo italiano è stato caratterizzato da un disordinato uso dello spettro e una conseguente proliferazione delle interferenze. La qualità delle immagini delle singole emittenti ha ovviamente risentito di questa situazione e dunque, contrariamente agli altri paesi europei nei quali satellite, cavo ed operatori di rete specializzati garantiscono immagini di qualità uniforme, siamo abituati a passare, anche sul digitale terrestre, da programmi di alta qualità a programmi di qualità bassissima.
Di conseguenza, la competizione in Italia è divenuta anche una “competizione sulla qualità delle immagini”, giustificando l’esigenza di un controllo end-to-end della rete di diffusione da parte dei broadcaster. Insomma, l’integrazione verticale è stata una risposta al “far west” dell’etere. Poi, nel tempo, il “possesso” delle frequenze è divenuto la principale voce di bilancio di molti broadcaster e la richiesta di poter trasmettere tutti con la stessa qualità, naturalmente soddisfatta in Paesi come Francia, Germania o Regno Unito, non ha più trovato posto nell’agenda dei broadcaster italiani.
Questa configurazione del settore rappresenta quindi secondo lei una debolezza di sistema?
Basta guardare al resto d’Europa e del Mondo. L’assenza di una competizione sulla qualità delle immagini ha reso inutile e anti-economica l’integrazione verticale e ha invece favorito la crescita di operatori specializzati, convergenti su Tv, mobile e fisso, ad alta competenza tecnica e con una crescente proiezione internazionale. In Francia e all’estero TDF non trasmette programmi propri ma gestisce 10.652 siti di trasmissione contro i circa 2mila della Rai. Trasporta operatori televisivi, radiofonici e mobili, opera con una rete fissa ad alta capacità di circa 5mila chilometri e si occupa, tramite la controllata Arkena, del mercato delle piattaforme hardware e software per lo streaming televisivo.
Analogamente, nel Regno Unito Arqiva con 2mila dipendenti gestisce più di 16mila siti trasmissivi tra Tv, radio e wireless, oltre a una vastissima rete di hot-spot wifi. Anche sul versante dei fornitori di contenuti l’assenza di una competizione sulla qualità delle immagini ha favorito una competizione basata sulla qualità del prodotto e impedito fenomeni di accaparramento e sotto-utilizzazione delle frequenze che sono proprie del nostro scenario con centinaia di operatori verticalmente integrati.
Questa convergenza che connota gli altri Paesi europei interesserà anche l’Italia?
La descrizione della rete di diffusione del futuro è un esercizio nel quale nessun tecnico in buona fede si cimenta a cuor leggero. È difficile e avventato descrivere tecnologie sicuramente vincenti o la configurazione ottimale della rete del futuro.
Quindi?
Dunque è bene capire quanto prima che Internet avrà un grande impatto sulla trasformazione dei modi di produzione e diffusione dei contenuti e come vettore di una radicale mutazione del rapporto tra utente e bradcaster. Da broadcast a unicast, da una fruizione su singolo schermo ad una interazione multi-schermo fra Tv e tablet, dall’utente sconosciuto all’utente noto e profilabile.
In che modo la Rai dovrebbe affrontare lo scenario di convergenza della rete fisica (trasmettitori, frequenze, rame, fibra) e delle tecnologie (fisso, mobile, satellite e brodcasting)?
La rete del futuro sarà una rete non specializzata per servizi o tecnologie: mobile, fisso, satellite e broadcasting per trasportare televisione, radio e internet. Sarà una rete convergente, gestita da grandi operatori di rete e in grado di integrare, anche a livello internazionale, il trasporto wireless e il trasporto fisso, le grandi reti di “broadcast” radio-televisivo e le future reti wireless sia mobili che nomadiche, adatte cioè a servire utenti di passaggio in luoghi pubblici. Sarà una rete che avrà bisogno dell’intelligenza distribuita di un cloud di migliaia di server specializzati e che dunque dovrà essere gestita con regole trasparenti ma prevalentemente sovranazionali.
Un po’ come dovrebbe avvenire per gli Over The Top…
Non è sufficiente portare la fibra nelle case degli utenti o nell’armadio in strada o trasmettere un segnale mobile LTE su una città per consentire a Netflix, Amazon e agli altri Over-The-Top di offrire il loro servizio. Affermarlo significherebbe dimenticare una componente essenziale della catena del valore: le reti di server destinate ad una capillare ed efficiente distribuzione dei contenuti, soprattutto video, ossia le Content Delivery Networks (CDN).
Si tratta delle infrastrutture tecnologiche che rendono possibile la distribuzione agli utenti finali di flussi costanti di bit ad alta capacità e, di conseguenza, di contenuti multimediali di alta e altissima qualità. Gli OTT non sono meri utilizzatori di reti altrui ma sono gli operatori di rete del futuro, che hanno realizzato e gestiscono quella Internet di secondo livello che i fautori della Net Neutrality non vorrebbero veder nascere ma che in realtà è già tra noi e garantisce, tra l’altro, la qualità dello streaming video di Netflix e Amazon.
Quindi la partita si gioca sul versante della sovranità sulle CDN?
Netflix, che pure utilizza la piattaforma AWS di Amazon per la gestione del complesso sistema di autenticazione e billing dei suoi clienti, ha preferito realizzare una separata CDN, Open Connect, per la gestione dei propri contenuti. La motivazione esplicita di questa scelta è molto semplice ed illuminante. Netflix vuole gestire in modo diretto la CDN per la consegna dei suoi contenuti, con il controllo completo di funzionalità e qualità, senza affidarla alle cure di uno dei suoi principali concorrenti come Amazon. Detto in altre parole, un broadcaster di Nuova Generazione considera la sua CDN come i vecchi broadcaster televisivi consideravano le proprie reti di diffusione e le frequenze.
Abbiamo di nuovo un operatore verticalmente integrato che utilizza la rete, composta dalle CDN e non più dalle frequenze, per una competizione sulla qualità delle immagini. Mediaset e Rai non si sarebbero mai fatte trasportare da un operatore di rete terzo. E così fa Netflix e forse farà anche Mediaset Premium di Vivendi. Le CDN possono avere lo stesso ruolo di accesso asimmetrico agli utenti che negli ultimi 30 anni hanno avuto le reti di qualità realizzate sulle frequenze meno interferite, e sono (almeno per ora) immuni da una qualsiasi regolazione orientata alla parità di accesso. Neanche il celebrato “Net Neutrality Order” di Obama lo ha fatto.
Dunque le reti di nuova generazione eliminano vecchi colli di bottiglia quali sono le frequenze e ne creano di nuovi. L’evoluzione del Servizio Pubblico nelle reti di Nuova Generazione dovrà tener conto di questa trasformazione.
Dal suo punto di vista, come sarebbe auspicabile che ciò avvenga?
Certamente producendo contenuti adatti alle diverse piattaforme distributive, ma anche realizzando e integrando nell’ecosistema digitale, composto da Smart-Tv, Set-Top-Box e altre soluzioni, piattaforme distributive su Internet, come l’app Rai.TV. A questi ruoli andrebbe aggiunto un rinnovato impegno della Concessionaria del Servizio Pubblico alla distribuzione dei contenuti. Non più nella obsoleta versione della Rai che trasmette esclusivamente i “suoi” programmi sulle sue frequenze ma nella più moderna versione di un broadcaster che partecipa con infrastrutture proprie alla realizzazione di reti di nuova generazione, eventualmente trasportando fornitori di contenuti terzi sulle proprie infrastrutture.
Capisco di assegnare alla Rai un compito molto difficile, forse impossibile, ma sono convinto che il Servizio Pubblico possa avere un ruolo decisivo nelle reti di Nuova Generazione, analogo a quello che ebbe nei primi anni ’50 nel “connettere” tutti gli italiani con la TV. La Rai dovrebbe realizzare le CDN del Servizio Pubblico, destinate ai suoi programmi ma anche a trasportare quei contenuti innovativi che, sempre di più, avranno difficoltà a “viaggiare veloci” in una rete Internet dove solo i contenuti a pagamento avranno a disposizione un “cloud” distributivo di qualità.
Ma Rai Way è pronta per una sfida tecnologica di queste dimensioni? Ha bisogno di essere ripensata e ristrutturata?
Non è possibile partire da un progetto di ristrutturazione di quello che è stato, anche gloriosamente, il braccio tecnico del Servizio Pubblico nella Rete diffusiva del passato per definire ruoli e specificità del Servizio Pubblico nella rete di trasporto del futuro.
È invece necessario procedere in senso inverso: definire o, meglio, immaginare la struttura della rete di diffusione del futuro, individuare in questa le necessità di un appropriato intervento del Servizio Pubblico, definire gli strumenti tecnici per realizzare questi interventi e, alla fine di questo processo, chiedersi se l’attuale struttura di RaiWay sarà in grado di fronteggiare le sfide della Rete di Nuova Generazione e di quali nuove energie e competenze avrà bisogno.
Leggi anche le interviste degli altri partecipanti al tavolo tecnologico:
– Marco Hannappel, vicepresidente di Anitec -> “Una Rai stile Bbc farebbe la fortuna dell’ICT italiano“
– Sergio Bellucci, esperto di innovazione nelle comunicazioni -> “Rai ferma a Carosello senza un progetto sulle infrastrutture digitali“
– Mario Frullone, vicedirettore generale Fondazione Ugo Bordoni -> “Cdn aperte e standard video: così la Rai sarà padrona del suo futuro”