La riscrizione del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 “Banche Popolari” è una ponderata scelta del Governo Renzi in coerenza con una linea politica proposta ma ancora molto da percepire come ammodernamento del Sistema Paese tanto da avere come titolo “Misure urgenti per il sistema bancario e per gli investimenti” con anche un “ricorso alla provvista di CDP-Cassa Depositi e Prestiti.” Le banche popolari, giova non dimenticarlo, sono istituti di credito in forma cooperativa e la gran parte dei servizi bancari è quindi offerta ai Soci. Una bella cosa, molto attuale perché ha il carattere partecipativo come la cultura digitale sta delineando nei nostri comportamenti sociali.
Un milione di soci, 11 milioni di Clienti, circa il 30% degli sportelli bancari. Una vera e propria Comunità interessata alla propria identità e a valorizzare la propria competitività internazionale e con nel DNA la mutualità. Una forza economica pensata e realizzata nei secoli precedenti e per molti decenni invidiato modello di business sociale.
Mark Zuckerberg paga 19 miliardi di dollari (tra azioni Facebook e contanti) per acquistare WhatsApp, il sistema di messaggistica istantanea che cresce ogni giorno. Perché l’ha fatto? Perché il valore è la Comunità e ciascun membro (leggi account ) è una quota di quel valore e la valorizza con la sua partecipazione. WhatsApp rappresenta oltre 400 milioni/2014 di utenti, Facebook 1,3 miliardi di utenti attivi.
Qui si evidenzia la prima differenza tra la condizione propria dell’altro secolo, cioè i confini e l’energia dell’economia digitale contemporanea, ovvero una visione ed un Mercato a “zero confini”. Resta simile il DNA “Comunità” diversamente vissuto ma che ci consente di definire omogeneo il raffronto economico e quindi leggere la “riforma delle banche popolari” con un punto di vista ancora non affrontato dal Governo e dalla Banca d’Italia e dalla Consob.
È difficilmente contestabile che il sig. Zuckerberg di Facebook non abbia fatto un buon affare e non lo abbia fatto guardando l’attualità del Mercato generata con l’economia digitale. Pare importante e da non omettere che il sig. Zuckerberg abbia inventata lui la “nuova regola” per valutare una impresa anche quando questa è una banca. Perché? Perché l’economia digitale traduce concretamente in “valore corrente” i nostri dati personali e della nostra azienda che “posti in Comunità” costituiscono il patrimonio stimabile.
Banca d’Italia, con il Governatore Ignazio Visco, promuove la riforma delle banche popolari per una serie di ragioni, in particolare si preoccupa invece perché “la più ampia partecipazione dei soci in assemblea riduce il rischio di concentrazioni di potere in capo a gruppi organizzati di soci minoritari”. Perfetto, esattamente la logica partecipativa preferita in economia digitale.
Consob, con il Presidente Giuseppe Vegas ha spiegato che “la riforma determinerà un aumento dell’efficienza del mercato del controllo societario, con possibili effetti positivi sulla gestione aziendale e sulla qualità dell’informativa al mercato. Tuttavia, va considerato che l’ordinamento consente, nell’ambito della disciplina della società per azioni, l’adozione di strumenti che potrebbero rendere più graduale il processo di apertura della compagine sociale e l’ingresso di nuovi azionisti: in particolare, i limiti all’esercizio del diritto di voto ovvero il voto maggiorato.”
In entrambi si è ascoltato nelle audizioni parlamentari un giudizio a dir poco pessimo sull’autoreferenzialità delle attuali governance bancarie, probabile preludio per il 2*tempo di questo percorso di ammodernamento avviato dal Governo Renzi e che in primavera dovrebbe far emergere le intenzioni anche sulle Fondazioni di origine bancaria.
Il carattere autoreferenziale delle governance delle banche popolari, oggetto dell’accusa istituzionale (Governo+Banca d’Italia+Consob), corrisponde in economia digitale alla web reputation che i soci di una banca digitale percepiscono degli amministratori attraverso i loro comportamenti coerenti ed aderenti al mandato sociale .
In questo caso, nell’ipotesi si valutasse il comportamento di una “banca sociale” la misura dell’operato della governance sarebbe costante, non limitata alla liturgia delle assemblee spesso se non sempre preordinate.
La misura digitale è determinata dalla partecipazione trasparente e contemporanea e diretta di ciascun membro della Comunità ai fatti concreti e reali a rilevanza esterna. La mutualità ha in se la tutela della Credibilità della Comunità come valore sociale ed economico complessivo. Fatti che impongono amministratori e manager sinceramente e non per induzione consapevoli di che cosa si sta parlando.
La proposta di “riforma delle banche popolari” è troppo vissuta come confronto muscolare tra idee di secoli diversi e rischia di risolversi “alla vecchia maniera” con il 51% portato in borsa a frammentarsi ed un 49% della banca popolare in mano ad un’unica cooperativa. Con la maggiore aggravante pubblica di non affrontare adeguatamente il fattore “zero confini” di interesse enorme per le esportazioni degli interessi dei propri soci ancorati nelle loro sorti sempre più alla crescente economia digitale.
Questo rischio concreto produrrebbe al mondo un senso di “malattia del torcicollo dell’economia italiana” quasi impaurita a tornare protagonista e a portare nell’economia digitale la propria Storia e capacità di impresa.
Certo è un momento storico per il sistema bancario italiano perché inizia a consolidarsi la prova, così come è già avvenuto in Politica o nell’editoria, che banalizzare con l’adozione dei servizi digitali, esempio home banking, l’interesse per l’economia digitale sta cifrando le competenze di molti autorevoli banchieri e burocrati.
Intanto le masse monetarie si trasferiscono grazie alle piattaforme che India, Cina, USA, prossimamente Regno del Marocco come entità autorizzano anche a tutela della propria moneta. Ma questo è un altro file! Conclusione: serve il coraggio di cambiare il modello da banca popolare a banca sociale.