Intesa Governo-Regioni-Comuni sulle partecipate. Punto saliente la possibilità per le aziende pubbliche di concorrere a gare fuori confine: c’è quindi il sì ai cosiddetti Comuni “spa”, ma l’opportunità di prendere parte a bandi extraterritoriali – non è previsto l’affidamento diretto – verrà riconosciuta solo a società che non risultano in perdita.
Via anche alla riduzione della soglia minima di fatturato che le spa pubbliche dovranno rispettare per rimanere in vita. Con l’accordo ci sarà un periodo ponte di tre anni: per il triennio 2017-2019 la soglia da raggiungere è di 500mila euro. Dal 2020 invece salirà per tutte a un milione in tre anni. Per il vice presidente dell’Anci, Umberto Di Primio, “non è una norma da ‘riserva indiana‘, non è che vogliamo tenerci sotto i 500mila euro, ma chiediamo la possibilità di potere crescere, di rendere stabili e competitive” le aziende. Si tratta “di qualche centinaia, la maggior parte di quelle comunali, che tra tre anni dovranno avere un milione di euro di ricavi”.
“La norma incentiverà l’aggregazione delle ex municipalizzate – ha spiegato al termine dell’incontro il presidente Anci, Antonio De Caro – porterà a un’aggregazione delle diverse partecipate che non riescono ad arrivare tra tre anni alla soglia minima di un milione di euro”.
A salvarsi, tra le in house Ict, quelle le 17 aderenti ad Assinter che operano secono il modello “in house providing”: Arsenàl, Csi Piemonte, Cup E-care 2000, Informatica Alto Adige, Informatica Trentina, InnovaPuglia, Insiel, Inva, LazioCrea, Lepida, Liguria Digitale, Lombardia Informatica, Sardegna.it, Sicilia E-Servizi, Trentino Network, Umbria Digitale e Molise Dati. La “salvezza” non è determinata solo dall’abbassamento della soglia di fatturato, ma anche dal fatto che queste società hanno iniziato processi di aggregazione già da tempo. E’ il caso di LazioCrea che ha inglobato Lait (che si occupava di IT) e Lazio Service (che si occupava di servizi). Oppure Lombardia Informatica che ha riportato in pancia anche la centrale acquisti.
Tutto considerato, a chiudere di sicuro saranno circa 3mila società: quelle che hanno più amministratori che dipendenti, quelle che hanno bilanci in perdita o che i bilanci non li presentano proprio, quelle con ricavi sotto i 500mila euro, quelle che svolgono attività “doppione” o sono inutili. Tremila su 8mila, dunque. I sindacati, dal canto loro, lamentano che “continuano ad essere assenti specifiche e chiare forme di sostegno al reddito dei lavoratori in esubero“. Con “8.000” persone da subito in bilico e senza paracadute, avvertono.
“C’è soddisfazione – commenta il sottosegretario alla PA, Angelo Rughetti – Si è fatto un passo in avanti, nonostante le complicazioni subentrate dopo l’emanazione della sentenza della Corte Costituzionale. Si è sostanzialmente dato vita a un nuovo schema di formazione della legge”. Si tratta, spiega il sottosegretario, “di una delega attribuita al Governo (la riforma PA ndr) sulla quale la Corte costituzionale ha detto che serve l’intesa con gli esecutivi degli enti territoriali. È la prima volta che succede nel nostro ordinamento ed è una novità importante, soprattutto in una materia dove il potere legislativo è stato delegato al Governo. Il dominus della formazione della legge, che è il Parlamento, rischia di dovere prendere atto di decisioni che vengono prese fuori dal Parlamento stesso”.