Un fenomeno “che non ha paragoni nel passato”, fatto di numeri
impressionati: 250mila solo per Apple, con oltre 6 miliardi e mezzo
di download. Si parla, ovviamente, delle applicazioni, le cosidette
apps, che “non sono una novità, ci sono da anni”, ma la cui
portata è cambiata di intensità. Francesco Sacco, professore di
Strategia Aziendale a Varese e managing director del centro di
ricerca Enter della Bocconi di Milano, non ha dubbi.
“È un successo che si basa su tre cardini: le nuove forme di
distribuzione, i nuovi tool per gli sviluppatori e il cloud
computing”. Tutto, ovviamente, inserito in uno scenario in cui,
attraverso nuovi ‘strumenti’, come i tablet, e altri ormai
tradizionali come gli smartphone, le aziende e gli utenti si
confrontano con problematiche sempre diverse. Come quella della
‘cultura dell’all-free”, che ha dominato il web 2.0. E che
proprio nelle apps, considerato che, ad esempio, “circa la metà
di quelle vendute sull’AppStore di Apple sono a pagamento”
potrebbe trovare una soluzione che già fa parlare qualcuno di
Internet 3.0 e che interessa settori sempre più ampi:
dall’editoria alle assicurazioni (anche le Generali sono sbarcate
sul melafonino), passando per tutti i campi più tradizionalmente
legati all’Ict.
Dall’iPhone in poi ma in maniera sempre maggiore, è
arrivato il fenomeno delle applicazioni. Cosa significa per gli
utenti?
Le applicazioni sugli smartphone non sono una novità. Ci sono da
anni, sul Palm, ad esempio, ma anche su Windows Mobile. Ciò che è
cambiato è l’intensità del fenomeno e il modo in cui il mondo
delle app funziona. Sono stati venduti circa 120 milioni tra
iPhone, Touch e iPad e se ne vendono in media altri 230.000 al
giorno. Sull’AppStore, ad esempio, si sono accumulate in appena 3
anni circa 250.000 applicazioni e ne sono state scaricate più di
6,5 miliardi. Non ci sono esempi nel passato che possano essere
comparati.
Il cambio di scenario c’è anche per le imprese? Che
opportunità ci sono?
Le applicazioni per molte aziende sono uno strumento per migliorare
l’esperienza d’uso dei clienti finali e, quindi, anche per
fidelizzarli. Inoltre, dato il momento di mercato piuttosto
difficile, sono uno strumento a supporto della forza vendita in
mobilità con un investimento molto contenuto. Ci sono soluzioni
customizzabili per aziende anche non piccole dal centinaio di euro
in su.
Quali sono le ragioni di questo successo?
Il saldarsi di tre fenomeni paralleli: un’organizzazione diversa
della distribuzione, la facilità d’uso dei nuovi tool di
sviluppo per i programmatori su smartphone e il cloud computing.
Nel caso di Apple, la centralizzazione dello store ha semplificato
la commercializzazione delle applicazioni, aprendo il mercato anche
a software house unipersonali. Inoltre, imponendo prezzi molto
bassi, ha creato un notevole effetto “volume”, incentivando
l’acquisto d’impulso ma, allo stesso tempo, centralizzando
anche il controllo di qualità, ha migliorato nel suo complesso
l’esperienza d’uso degli acquirenti. Il secondo, la semplicità
dei nuovi tool di sviluppo, ha ulteriormente aiutato ad allargare
la comunità degli sviluppatori, rendendo lo sviluppo di
applicazioni un’attività meno esoterica, ma relativamente più
proficua e gratificante anche per gli sviluppatori hobbisti.
Infine, il cloud computing ha avuto un eccezionale ruolo
abilitante, rendendo possibili modelli applicativi a basso
investimento e/o ad alta flessibilità d’uso.
I tablet, che dopo l’iPad saranno sempre più numerosi,
cosa spostano nello scenario che si è già creato?
Ampliano notevolmente il mercato, aprendo nuovi scenari. Aggiungono
nuove possibilità d’uso, come la lettura dei quotidiani e dei
libri, che con schermi più piccoli non erano agevoli e creano un
altro importante tassello di un mondo digitale veramente
“personale”. In termini di mercato, si stanno diffondendo anche
più rapidamente dell’iPhone e, in generale, degli smartphone,
realizzando – in parte – una forma di sostituzione, ma importante,
del portatile.
Possono essere un mezzo per combattere la cultura dell’
“all free” che ha dominato il web negli ultimi
anni?
Si, certamente. Circa la metà delle applicazioni vendute
sull’AppStore di Apple sono a pagamento. La proporzione è un
po’ inferiore nel caso di Android, come anche di Rim, Nokia e
Microsoft, ma la percentuale delle applicazioni a pagamento sta
salendo. Quello che in pochi hanno però sottolineato è che il
mondo delle applicazioni sta ribaltando un altro luogo comune di
Internet: i contenuti a pagamento. I numeri sono ancora bassi ma
stanno crescendo rapidamente. Ma soprattutto, crescono sempre più
velocemente.