IL CASO

Samsung di nuovo senza una guida: arrestato Lee Jae-yong. E il titolo affonda in Borsa

Condanna a 30 mesi per corruzione e appropriazione indebita per l’erede del colosso sudcoreano. Il Gruppo deve ora affrontare la più grande crisi di sempre. Nel frattempo in Italia il Tar del Lazio conferma la multa da cinque milioni dell’Antitrust relativa al “caso” Galaxy Note 4

Pubblicato il 19 Gen 2021

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Samsung è di nuovo senza leader. A pochi mesi dalla morte dello storico presidente Lee Kun- hee, il figlio Lee Jae-yong, l’erede del colosso industriale e tecnologico della Corea del Sud, è stato arrestato, a meno di tre anni dalla libertà condizionata, dopo che l’Alta Corte di Seul lo ha condannato a 30 mesi di carcere per corruzione e appropriazione indebita. Come immediata conseguenza, e azioni dei gruppi legati al conglomerato sudcoreano hanno subito un deciso ribasso nella giornata di ieri, con perdite del 3,41% a fine giornata.

Le ragioni della condanna di Lee Jae-yong

Lee, vice presidente di Samsung Electronics, era stato accusato di aver corrotto l’ex presidente della Repubblica Park Geun-hye e la sua amica di vecchia data Choi Soon-sil al fine di ottenere il sostegno del governo per “un trasferimento morbido” dei poteri nel gruppo a suo favore attraverso un riordino azionario con il sostegno di società e fondi pubblici. “Ha attivamente e prontamente offerto tangenti a Park su sua richiesta e si è impegnato in attività improprie nel sollecitare, anche se implicitamente, il sostegno di Park nel trasferimento del potere manageriale (alla Samsung)”, ha scritto la corte nel suo verdetto.

La vicenda è costata a Park l’impeachment e una condanna a 20 anni di carcere decisa la scorsa settimana dalla Corte Suprema. L’Alta Corte, nella sua sentenza, ha preso di mira la governance di Samsung, accusata di non essere “abbastanza efficace”, dato che il comitato lanciato lo scorso febbraio per monitorare la conformità dell’azienda alle leggi e all’etica è stato definito “ancora ad autorità limitata”. Lo stesso tribunale aveva ordinato a Lee lo scorso ottobre di elaborare misure per prevenire errori etici.

L’evoluzione del caso

La pubblica accusa aveva chiesto nove anni di carcere per Lee, la cui reclusione lascia Samsung senza leader in mezzo alla pandemia di coronavirus, con un potenziale impatto sulle attività del gruppo. Il manager, 52 anni, era stato inizialmente condannato a cinque anni di carcere nel 2017 per aver dato circa otto milioni di dollari in tangenti a sostegno dell’addestramento equestre della figlia di Choi e a una fondazione sportiva gestita dalla famiglia di quest’ultima. Una corte d’appello, tuttavia, ridusse la pena sospendendola a febbraio 2018, ritenendo le somme erogate e sottratte a Samsung Electronics di importo inferiore e liberandolo a un anno circa dall’arresto. Quindi, nel 2019, il tribunale superiore rinviò il caso per un nuovo processo, stabilendo la responsabile per un totale di circa sette milioni di dollari in tangenti. Nell’agosto 2019, la Corte Suprema stabilì che Lee aveva offerto circa otto milioni di dollari in tangenti, rinviando il caso alla corte d’appello per un nuovo processo. E per la rideterminazione della pena, definita ora in 30 mesi di carcere.

E il Tar del Lazio conferma la multa dell’Antitrust

In Italia resta nel frattempo confermata la maximulta da cinque milioni di euro inflitta nel 2018 dall’Antitrust a Samsung, ritenuta responsabile di una pratica commerciale scorretta per avere sviluppato, imponendone l’istallazione ai consumatori che avevano acquistato uno smartphone Galaxy Note 4, l’aggiornamento alla nuova versione del sistema operativo Android denominata Marshmallow, che avrebbe causato una riduzione sensibile delle prestazioni, senza prestare la dovuta assistenza per i conseguenti problemi che avrebbero colpito gli apparecchi fuori garanzia.

Come riporta l’Ansa, la decisione arriva dal Tar del Lazio, attraverso una sentenza con la quale ha respinto due ricorsi proposti rispettivamente da Samsung Electronics Italia e Samsung Electronics Co. Ltd. I giudici in sentenza hanno ritenuto “pacifico” il fatto che “l’aggiornamento in questione sia stato lanciato senza che gli utenti fossero adeguatamente informati degli inconvenienti che l’installazione avrebbe potuto comportare e senza provvedere, se non tardivamente ed in maniera limitata, a rimediare ai malfunzionamenti”. Per il Tar “è sulla base di una pluralità di considerazioni” che l’Autorità ha concluso che la pratica commerciale in esame fosse stata scorretta, aggiungendo che “sotto altro profilo, il professionista ha indebitamente condizionato i consumatori, da un lato, inducendoli ad aggiornare il firmware mediante l’insistente richiesta di procedere ad effettuare il download e l’installazione degli aggiornamenti, dall’altro, non prestando un’adeguata assistenza ai consumatori per ripristinare la funzionalità preesistente dei loro apparecchi, in tal modo accelerando il processo di sostituzione di tali apparecchi con nuovi modelli”.

In più, secondo i giudici le stesse ricorrenti non contestano che i “fenomeni negativi si siano verificati, ma affermano che non sarebbero conseguenza degli aggiornamenti del sistema operativo, come accertato dall’Autorità, senza, tuttavia, offrire una diversa spiegazione degli stessi, senza dimostrare di essersi attivate per limitarli e senza smentire di aver continuato insistentemente a sollecitare gli aggiornamenti in assenza di adeguata informazione sui prevedibili rischi”; cosa questa che è stata considerata “una grave carenza informativa alla quale non può sopperire il suggerimento rivolto al consumatore, contestualmente all’invito all’installazione dell’aggiornamento, di visitare una pagina internet per avere chiarimenti sui contenuti di sicurezza degli aggiornamenti”.

La conclusione è che “correttamente l’Autorità ha fatto applicazione, nel caso di specie, delle norme del Codice del Consumo, avendo ritenuto violate, da parte di Samsung, le regole di diligenza professionale esigibili da un operatore del settore di primaria importanza mondiale”.

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