I cittadini italiani sono pronti a una minore interazione fisica con il medico e, quindi, all’utilizzo della sanità digitale. Lo afferma il 60% dei parlamentari e il 70% dei consiglieri regionali italiani e i consumatori confermano: il 66,1% si sente a proprio agio nell’interazione digitale col medico. È uno dei risultati dell’indagine condotta da Ls Cube in collaborazione con YouTrend/Quorum nell’ambito del progetto “Net-health sanità in rete 2030”, presentata alla Luiss Business School di Roma.
L’Italia è dunque pronta, dopo due anni di pandemia, all’e-health? Non esattamente. La maggiore familiarità con gli strumenti elettronici nell’interazione col medico non basta a decretare la maturità digitale di politici e cittadini italiani: dalla percezione del valore dell’innovazione all’acquisizione delle competenze digitali c’è ancora strada da fare.
Sanità digitale, non c’è la mentalità
Secondo i decisori politici i settori della sanità su cui bisognerebbe investire sono la medicina territoriale (78% dei parlamentari) e la ricerca clinica/farmaceutica (81% dei consiglieri regionali). Dai cittadini intervistati emerge la forte esigenza di una sanità più vicina ai territori.
Sul digitale le persone sondate hanno espresso una debole esigenza di investimenti (15,1%). Su questo punto i decisori hanno una maggiore consapevolezza e collocano la digitalizzazione della sanità tra i principali filoni di investimento (27% per il Parlamento; 31% per i Consigli regionali).
Analogamente le criticità che hanno caratterizzato, soprattutto all’inizio, la risposta della sanità pubblica al Covid-19 vengono imputate da parlamentari e, ancor di più, paradossalmente dai consiglieri regionali alla decentralizzazione del sistema; solo il 6% e l’8% rispettivamente cita la scarsa digitalizzazione. I cittadini come criticità individuano la gestione inefficiente della sanità pubblica (oltre il 41%).
Sull’efficientemente del sistema sanitario nazionale i decisori (Parlamento 73%; Regioni 91%) pensano che la digitalizzazione sia importante ma non determinante. Per quasi il 44% dei cittadini il digitale può essere la soluzione per gestire la salute.
Il peso del digital divide
Sempre per ciò che riguarda la digitalizzazione il 77% dei parlamentari intervistati e l’85% dei consiglieri regionali coinvolti nella ricerca pensano che il digitale sia un veicolo per il diritto alla salute, e quindi con l’utilizzo dello stesso le diseguaglianze si ridurranno.
I cittadini hanno invece risposto che il digitale aumenterà le diseguaglianze. Tale risultato deve leggersi collegandolo al digital divide (le cui criticità sono emerse durante i lockdown, soprattutto sul fronte della scuola): se un soggetto ha connessione e strumenti l’e-health è un aiuto, altrimenti aumenta le disuguaglianze sociali. Il tema è quindi ancora polarizzato e controverso, dal momento che ci sono una serie di problematiche preliminari da risolvere, a partire dall’alfabetizzazione digitale.
Dati sanitari digitali, i cittadini si fidano
Tra i cittadini più di 7 su 10 affermano di sentirsi a proprio agio con il crescente utilizzo della tecnologia nella gestione dei dati sanitari.
Analizzando le opinioni dei decisori nazionali (78%) e regionali (88%), il risultato trova conferma: i parlamentari e i consiglieri regionali affermano che gli italiani sarebbero favorevoli al crescente utilizzo della tecnologia nei dati sanitari.
Sanità 2030, come sarà
Verso il 2030, i consiglieri regionali e i parlamentari che si immaginano una riforma strutturale della sanità sono in netta maggioranza (86% dei consiglieri regionali; 65% dei parlamentari). Tra coloro che, al contrario, pensano più a interventi mirati (35% deputati/senatori; 14% consiglieri regionali), le prime azioni da porre in essere sarebbero la razionalizzazione dei Lea e l’identificazione di strumenti alternativi di rimborsabilità per le terapie a basso valore terapeutico, oltre al rafforzamento della sanità integrativa.
Il 47,9% dei cittadini si è detto invece preoccupato per i prossimi anni di non riuscire a permettersi l’assistenza sanitaria quando ne avrà bisogno e che il Ssn non riesca a garantire le molte cure innovative già in commercio o prossime alla commercializzazione.
“Questi dati sono molto importanti per organizzare la programmazione sanitaria del nostro Paese”, ha commentato Pierpaolo Sileri, sottosegretario alla Salute, secondo il quale “curare è la punta di un iceberg, il risultato di un processo dove a monte c’è una filiera che può funzionare solo facendo rete”.