Ibm apre l’era della sanità 4.0. A spiegare a CorCom cosa significa e, soprattutto, che ruolo può giocare l’Italia Daniela Scaramuccia, director Health & Life Science Industries Ibm Italia. “Sanità 4.0 è un nome evidentemente mutuato da Industria 4.0 – spiega Scaramuccia – che vuole dare conto di una trasformazione che può avvenire nel settore sanitario e che impatta in tutti gli ambiti: dalla ricerca, passando per la clinica fino alla programmazione sanitaria. Come nell’industria, le nuove tecnologie rivoluzionano la value chain”.
In questo contesto quali sono i progetti che Ibm considera abilitanti?
Più che di progetti parlerei di tecnologie in senso ampio. Ci sono i wearable oppure i sistemi impiantabili dotati di sensori in grado di raccogliere e trasferire dati, strutturati e non, per evidenziare correlazioni necessarie a definire in modo più efficace una terapia, ad esempio. Da segnalare anche gli strumenti di interazione uomo-macchina basati sull’intelligenza artificiale che consentono di analizzare le migliori pratiche. Si tratta di elementi che, messi a sistema, possono aprile la strada alla rivoluzione digitale.
Ha parlato di intelligenza artificiale. Come si colloca Watson in questo percorso di trasformazione?
Il nostro sistema di machine learning è in grado di memorizzare milioni di referti medici, tac, immagini, lastre relative a decine di migliaia di pazienti. Questa mole di informazioni aiuta i medici a fare le diagnosi e a trovare le cure migliori confrontando velocemente il caso in esame con tutti quelli in archivio. Si calcola che un medico avrebbe bisogno 10 mila settimane per leggere e capire 10 milioni di casi di singoli pazienti. Watson lo fa in pochi secondi. Inoltre è in grado di fare previsioni dell’evoluzione clinica del paziente con largo anticipo.
Sta delineando uno scenario in cui la macchina sostituirà il medico.
Al contrario. Alla base del nostro progetto c’è l’obiettivo primario di sostenere, migliorare il lavoro degli operatori sanitari. Mi piace infatti parlare più di “intelligenza aumentata” piuttosto che di “intelligenza artificiale”. Negli Usa Watson è sbarcato nelle corsie del Sloan-Kettering cancer center mentre in Europa abbiamo avviato una collaborazione con Humanitas University.
Per fare cosa?
Gli studenti di medicina dell’Humanitas University possono contare su un supporto cognitivo per la loro formazione e per approcciare al meglio la vita in reparto. I ricercatori di Humanitas University, Humanitas Research Hospital e Ibm stanno collaborando allo sviluppo di un tutor cognitivo per assistere e potenziare le capacità di medici e studenti. Il tutor offrirà piattaforme di studio personalizzate attraverso la scelta di contenuti, simulazioni, commenti e approfondimenti basati sul livello di conoscenze del singolo studente mediante una semplice interfaccia quale può essere un’app. Il sistema non sostituisce i docenti di medicina, ma li assiste nella loro attività.
Watson, così come altri sistemi che processano dati, fa sì che si accendano i riflettori sullo spinoso tema della tutela delle informazioni, in particolar modo quelle sanitare che sono molto sensibili. Ci possiamo fidare delle tecnologie?
Alla base dell’uso delle tecnologie ci sono le policy in difesa della privacy che sono la bussola di ogni nostro programma. Ibm ha sviluppato strumenti e procedure idonee in linea con le attuali normative e già in regola con quanto prevede il Gdpr europeo. La nostra filosofia è che il dato resta di proprietà di chi lo possiede, compresi i cosiddetti outcome delle analisi. Ovviamente non tutte le conseguenze sono prevedibili.
E allora, che succede se le procedure di sicurezza saltano?
Ci sono dei principi inderogabili. Il primo: la finalità. Le aziende tecnologiche hanno il compito di supportare il lavoro degli operatori sanitari senza avere velleità di sostituzione del fattore umano. Secondo: la trasparenza. Abbiamo il compito di diffondere fiducia nelle macchine. In questo senso è fondamentale che si sappia quali sono le fonti e le best practice a cui i sistemi attingono come fa, ad esmepio, Watson for Oncology.
Il terzo?
Le competenze. Il ruolo di Ibm è soprattutto quello di creare e rafforzare gli skill per fare modo di creare la maggiore fiducia possibile nelle macchine. Sia lato operatore sia lato paziente.
L’Italia, stando alla classifica Oms, è al vertice della classfica mondiale dei migliri sistemi sanitari. Eppure i pazienti hanno a che fare con lunghissime liste d’attesa, inefficienze organizzative. Possiamo ambire alla sanità 4.0?
In Italia i servizi sanitari non solo sono efficienti, ma sono anche tra i più economici. Ecco perché il Paese può – anzi deve- diventare motore del cambiamento. Ci sono centi di eccellenza, professionisti di caratura internazionali e anche un sistema di flusso dati consolidato.
Eppure le carenze ci sono. Quali gli ostacoli da superare?
Quallo che vedo è un mix di inerzia e paura del cambiamento. Ecco perché ribadisco che è necessario insegnare ad avere fiducia nella tecnologia.
State puntando molto sul progetto Abano. Di che si tratta?
Di un’iniziativa di digitalizzazione delle attività il gruppo Policlinico Abano. L’ospedale sta lavorando in partnership con Ibm per lo sviluppo di due app Ibm MobileFirst for iOS volte a digitalizzare le attività del personale di cura e migliorare l’assistenza ai pazienti. Le app consentiranno allo staff di organizzare, ordinare per priorità e monitorare le attività sui propri iPad, incluse le terapie, attingendo da importanti informazioni sui pazienti per creare un nuovo approccio alla gestione delle cure; offriranno agli infermieri l’accesso ai percorsi clinici dei pazienti, garantendo così la standardizzazione delle attività per migliorarne i risultati; daranno al personale infermieristico la possibilità di consultare le attività in corso su ogni paziente in base ai diversi percorsi clinici e alle relative tempistiche; raccoglieranno dati e risultati assicurando la condivisione delle informazioni in seno al team di assistenza (per esempio dati vitali come temperatura, pressione cardiaca e altro).