Sono stati giorni di polemiche contro Umberto Eco e le sue dichiarazioni sugli imbecilli e l’uso di Internet: “La catena di montaggio delle bufale, il luogo in cui nascono le più assurde teorie complottistiche” e ancora “Facebook e Twitter? Uno sfogatoio per quelli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino e di solito venivano messi a tacere, mentre ora chi scrive ha lo stesso diritto di parola di un Nobel”. Dichiarazioni senza senso non solo per il loro contenuto, ma perché rese in occasione della sua laurea honoris causa in comunicazioni e media, cioè nella materia che per l’appunto studia anche il rilievo della rete ai giorni nostri.
Ma tant’é, nel suo immaginario legioni di imbecilli sono state allevate dal web, pronte a spararla su tutto, irrispettose degli ottimati depositari di saggezza e sapere. Insomma una visione un po’ elitaria che se non fosse stata del “democratico” Eco avrebbe potuto essere iscritta al registro delle facezie di ben altre farneticanti ideologie.
Comunque un merito il nostro lo ha avuto. Non sugli imbecilli, la cui opinione è peraltro tutelata dalla Costituzione (tutti hanno diritto di esprimere il proprio pensiero) e sul loro numero in rete (la madre degli imbecilli è da sempre incinta a prescindere da internet), ma sul modo giusto per reagire all’enorme espansione della libertà di espressione resa possibile da Internet. Un bene e un grande progresso per l’umanità, ma che necessita anche di strumenti critici per valutare ciò che si legge, si sente e si vede.
Abbiamo dovuto imparare a valutare l’affidabilità di un libro basandoci sull’autore o l’editore (e ciò non ha impedito che le librerie, ancora oggi, siano piene di libri che diffondono «bufale» colossali). Poi abbiamo dovuto imparare a leggere i giornali, e in tempi ancora più recenti abbiamo dovuto (o meglio avremmo dovuto) imparare a interagire criticamente con radio e, soprattutto, televisione. Ora è il momento della rete.
Il senso critico in una società sempre più immersa nella connessione permanente è come la capacità di scegliere cosa mangiare. Le schifezze si evitano, le cose buone si cercano. Ma chi lo forma? La risposta è semplice: la cultura, non solo quella alta, cara ad Eco, ma soprattutto quella diffusa, cioè quella in primo luogo dispensata dalla scuola.
Tuttavia, fuori da questa discussione sul senso critico, l’attacco ad internet resta oggettivamente inquietante. Di cosa si ha paura realmente, dell’imbecille (categoria che alligna in tante organizzazioni senza necessariamente scomodare il web) o della parola in sé? E sì, perché il potere della parola è enorme (come ci insegna da sempre il Vangelo).
Depositari di questo potere sono stati fino ad ora pochi (politici o intellettuali che fossero). Una sua redistribuzione dal basso rende incerte le loro posizioni. Verrebbe a questo punto da dire che per il potere è meglio essere scemi che imbecilli. I primi li formi, come è successo in Italia con anni e anni di comunicazione artefatta, i secondi, cioè quelli che nella versione di Eco la sparano grossa, hanno comunque un barlume di libertà, materia pericolosa per le élites.