L'EDITORIALE

Scontro Vivendi-Elliott: l’ostaggio non può essere Telecom

I due gruppi affilano le armi in vista dell’assemblea del 4 maggio. Ma lo scontro potrebbe protrarsi oltre, trasferendosi all’interno del nuovo cda e nelle assemblee chiamate a votate le operazioni straordinarie. Telecom non ne ha affatto bisogno

Pubblicato il 26 Apr 2018

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Finora ad avere vinto sono stati soprattutto gli avvocati e le loro robuste parcelle. Nello scontro per il controllo di Telecom Italia fra il fondo attivista americano Elliott e i francesi di Vivendi sono i legali a cantare vittoria già prima che l’assemblea del 4 maggio decida quale sarà il consiglio di amministrazione destinato a gestire la società nel prossimo triennio.

Con i due contendenti sono scesi in campo i migliori nomi dell’avvocatura d’affari italiana. Persino il vicepresidente Franco Bernabè ha avuto bisogno di un legale del calibro di Alberto Toffoletto, fondatore dello studio Nctm, per farsi assistere nella delicatissima gestione dell’assemblea del 26 aprile e in quella, ancora più cruciale del 4 maggio, dove si confronteranno le due liste di maggioranza di Elliott e Vivendi.

Difficile dire chi prevarrà perché il margine di voti che divide i due contendenti appare veramente ristretto. Pur se la bocciatura delle due società di revisione proposte dal management e la conferma di Roberto Capone come presidente del collegio sindacale, contro cui si era espressa Vivendi, legittima la supposizione che se non interverranno ulteriori aggiustamenti nelle alleanze la strada dei francesi sia diventata in salita.

Indipendentemente da chi sarà il vincitore della “guerra delle due assemblee”, è evidente che Tim ha bisogno finalmente di una governance stabile, con un progetto industriale proiettato al futuro, con amministratori dediti all’interesse della società e non distratti” da questo o quell’azionista per quanto importante.

Pertanto, non si può che concordare con Bernabè quando ha denunciato “toni eccessivi e poco consoni a un’impresa come la nostra società” ed ha invitato a una “dialettica costruttiva” tra i soci. Bernabè parlava ai presenti all’assemblea, ma le sue parole andranno raccolte soprattutto dai due principali gruppi che si sfideranno il 4 maggio e che sono, nonostante ciò, chiamati dopo trovare convergenze, da vincitore e da perdente, per l’interesse di Telecom Italia, a vantaggio di tutti gli azionisti ed anche del Sistema Italia di cui Tim rappresenta una parte importante. Per l’infrastruttura di rete di cui dispone (la cui portante è stata costruita negli anni del monopolio pubblico, non va dimenticato), per la sua capacità tecnologica, per il numero di dipendenti che occupa, per l’indotto che mette in movimento.

La responsabilità primaria dei due principali azionisti della società dopo la battaglia assembleare sarà proprio quella di dare finalmente a Telecom un management stabile, concentrato su obiettivi di lungo periodo, libero da interferenze improprie da parte degli azionisti principali.

Durante la sua gestione, Vivendi ha fatto parecchi errori. Anche di tipo diplomatico, entrando in rotta di collisione persino con il governo italiano in un settore così regolato e delicato come le tlc. E in più occasioni ha dato modo ai suoi oppositori di accusarla di fare i propri interessi piuttosto che quelli di Telecom, trattando l’azienda quasi come un feudo in terra italiana dell’impero Vivendi.

Lo si è visto in occasione del poi sfumato accordo con Canal+, accolto più come un favore a Vivendi piuttosto che un passo nella direzione di far fare a Tim anche il mestiere content provider, prospettiva che non ha certo trovato un consenso plebiscitario.

L’aver poi presentato una lista di maggioranza che è quasi la fotocopia dei consiglieri Vivendi presenti nel cda dimissionario, non contribuisce certo a sfumare l’immagine di arroganza che Vivendi si è lasciata cucire addosso.

Dopo le reiterate batoste subite dal titolo Telecom per anni e di cui hanno fatto le spese moltissimi piccoli azionisti cassettisti, compresi numerosi dipendenti ed ex dipendenti della società, è più che comprensibile che il cavaliere bianco giunto dagli Usa abbia trovato la via spianata anche per inusitati supporti: da Assogestioni che rinuncia alla tradizionale lista di minoranza sino alla Cassa Depositi e Prestiti che entra in Tim con quasi il 5% del capitale.

Elliott trae vantaggio dalla voglia di svolta e dalla palpabile insoddisfazione verso i francesi che si sono ampiamente toccate con mano all’assemblea di martedì scorso. Basti pensare all’applauso, in un clima più da stadio che da assemblea societaria, che ha salutato la conferma di Capone alla guida dei sindaci. Se chi spera in drastici cambiamenti in Telecom rivolge il suo sguardo ad Elliott, va però anche detto che non sono ancora del tutto chiari i contorni del progetto industrial-finanziario disegnato dal fondo americano per il futuro di Telecom.

A parole, Elliott supporta il piano di scorporo e societarizzazione della rete proposto da Amos Genish, al punto da confermare il manager come consigliere di Telecom trasformandolo di fatto in un proprio candidato alla carica di futuro amministratore delegato. E questo nonostante il manager israeliano figuri addirittura al primo posto nella lista Vivendi del 4 maggio. “Siamo concordi a votare a favore della nomina di Genish evitando incertezze e discontinuità per l’azienda e il mercato”, ha detto intervenendo in assemblea Giorgio Furlani, portfolio manager di Elliott.

Di discontinuità, però, il piano Elliott però ne lascia intuire parecchie. Ci sono lo scorporo e la societarizzazione della rete, ma poi si ventilano anche le dismissioni di Sparkle, di inwitt e magari anche del Brasile. Se tutto questo avvenisse, la Tim del futuro sarà assai ridimensionata rispetto ad oggi. Che futuro potrà avere una società di telecomunicazioni così rimpicciolita?

La vera partita che si sta giocando è dunque sul futuro di Telecom, non solo su chi la controllerà e con quale governance. Lo scenario peggiore che possa capitare è che la guerra fra i due soci forti continui anche dopo il 4 maggio: nel cda e nelle assemblee societarie che saranno chiamate a deliberare le operazioni straordinarie che si profilano. Telecom di tutto ha bisogno, tranne che di questo.

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