STRATEGIE

Scorporo Tim, ecco quanto vale la rete

La societarizzazione potrebbe rappresentare il primo passo della fusione già previsto e auspicato da molte parti. Focus sui benefici complessivi a livello macroeconomico di una rete scorporata, quotata in borsa, e partecipata in un secondo tempo da altri player

Pubblicato il 25 Ott 2017

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Da quando è partito questa estate il primo “walzer” dei numeri sui possibili valori della rete Tim, il mercato è sembrato recepire positivamente l’ipotesi di scorporo. Il massimo stagionale è stato raggiunto lunedì 7 agosto con un titolo Tim quotato a circa 0,89 centesimi rispetto allo 0,77 di oggi. Il giorno prima, domenica 6 agosto, il Sole 24 Ore aveva pubblicato una mia intervista circa gli scenari ed i possibili valori della rete in un modello dinamico diverso da quello dei multipli di mercato. Segno che il mercato valorizza comunque il cambiamento e un nuovo assetto delle reti. Nelle settimane successive il titolo è sceso per la questione della Golden Power che potrebbe essere un ulteriore elemento di trattativa. Ma la societarizzazione potrebbe rappresentare il primo passo di quel progetto di fusione delle reti che in molti hanno già previsto ed auspicato da tempo.

Ci si domanda a riguardo quali potrebbero essere i benefici complessivi al livello macroeconomico di una rete scorporata, quotata in borsa, e partecipata in un secondo tempo da altri player.

Qualsiasi siano le tempistiche, questo piano di riassetto delle reti ha come vantaggio quello di poter pianificare una maggiore sinergia delle infrastrutture esistenti senza duplicazione di costi. Inoltre velocizza i piani di investimento in ultrabroadband (FTTH) senza però limitare il ruolo del rame che nel futuro potrà migliorare le sue performance. In terzo luogo, con l’entrata della Cdp la rete Tim ritornerebbe sotto la garanzia dello Stato con tutti i benefici annessi dopo dieci anni di incomprensioni con le istituzioni. In quarto luogo, ai creditori dei 25 miliardi di debiti netti di Telecom derivanti dalle due OPA, potrebbe convenire molto attribuire ad esempio 15 miliardi sulla rete, in quanto asset solido e strategico (con una valutazione della rete di 15 miliardi – 13-14 da flussi di cassa scontati, più possibili ottimizzazioni finanziarie e di mercato, e con un valore della nuova società tendente a zero in questo esempio ultra estremo).

In ultimo, e questo più che un beneficio è un obiettivo, la parte rimanente di Tim si trasformerebbe in un vero e proprio mercato globale al dettaglio. Un grandissimo media player con un portafoglio di prodotti e servizi molto grande: dai contenuti alle comunicazioni, dagli apparati all’internet delle cose.

Per quanto riguarda la valutazione bisognerebbe prima discutere sui metodi di calcolo. L’economia aziendale propone tre metodi: patrimoniale (l’azienda vale in base al valore dei suoi beni), reddituale (l’azienda vale in base a quanto guadagna) e finanziario (l’azienda vale in funzione di quelli che saranno i flussi di cassa futuri). Tutti gli altri sono una derivazione. Il metodo dei multipli però, con oggetto la comparazione con le società quotate di un dato reddito, ha il limite di considerare alla base del valore un flusso costante. Sempre e quando si possano fare comparazioni con altre realtà di reti scorporate con infrastrutture in fieri.

Più appropriata appare sicuramente una valutazione attraverso gli scenari dei flussi di cassa relativi ai piani di evoluzione della rete. Ed è proprio per questo che finora i punti di vista sono stati molto diversi tra loro: dai 20 miliardi di Cattaneo alle dichiarazioni di Bassanini che chiedeva di “far distinzioni tra l’olio di semi e l’olio d’oliva”. E’ possibile però che si possa convergere su di uno scenario medio, condiviso da tutti, con un piano di sviluppo integrato e sinergico.

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