Scott Jovane: “Cloud rivoluzione. Ma con i tempi del mercato”

Le previsioni dell’Ad di Microsoft Italia: “Lo switch off non avverrà in un giorno. Se non altro perché si tratta di maturare un grande cambiamento culturale. Noi stessi dovremo modificare l’approccio al business”

Pubblicato il 21 Feb 2011

«Acceleratore cloud»: è quasi un mantra quello che
Pietro Scott Jovane, amministratore delegato di
Microsoft Italia, lancia nel corso di questa intervista. Un mantra
ricorrente, infilato dentro tutte le pieghe del suo discorso. Ad
uso di chi ha la responsabilità dell’informatica nelle aziende,
ma anche dei ceo che quelle aziende gestiscono, degli uomini
politici che devono portare il Paese verso il futuro, degli
amministratori pubblici cui spettano le scelte concrete, degli
stessi cittadini-consumatori. “La nuvola cambierà tutto. Modo di
lavorare, modo di vivere, modo di relazionarsi fra le persone.
Pensiamo a Facebook o Twitter: la base tecnologica del loro
successo è la cloud”. Chi la capirà per primo, avrà più carte
in mano, è il messaggio di Scott Jovane: “La cloud è il futuro.
Il tema non è se arriverà, ma quando”.
Me lo dica lei.
Ci vorrebbe la sfera di cristallo. Tutti coglieranno
l’opportunità cloud: imprese, cittadini, pubblica
amministrazione. In tempi e termini che non saranno decisi dai
fornitori di tecnologia. In passato siamo stati noi vendor a
forzare il mercato; ora è il mercato a decidere modi e tempi. È
cambiato il paradigma: prima c’era sincronia tra soluzioni
tecnologiche e mercato, ora dobbiamo convivere con
l’asincronia.
Pare di capire che ci vorrà tempo per lo switch
off.

Non avverrà in un giorno, ma avverrà. Col tempo necessario,
però. Soluzioni cloud e prodotti on-site convivranno ancora a
lungo. Se non altro perché si tratta di maturare un grande
cambiamento culturale. Noi stessi dovremo modificare l’approccio
al business. Pensi ai nostri partner. In Italia ne abbiamo 25.000,
grandi come Telecom Italia o aziendine da 4 dipendenti. Non
dovranno vendere prodotti, ma diventare provider di servizi,
dimostrare che la fruizione cloud è migliore di quella
proprietaria. Si tratta di cambiare mestiere.
Anche i clienti devono mutare approccio.
Non c’è dubbio. Per questo insisto nell’asincronia fra
soluzioni tecnologiche disponibili e andamento effettivo del
mercato. Dobbiamo riuscire far capire che le soluzioni tecnologiche
come servizio sono più interessanti di quelle comprate: muterà il
modo in cui i clienti percepiscono la tecnologia. Oggi è un costo
da valutare in termini di Roi. In futuro, non sarà più capex ma
opex, costo variabile in funzione dell’uso, voce di spesa
associata ai ricavi, un elemento che traina il fatturato. Siamo
allo show time per l’information technology.
Disegna una trasformazione epocale.
È così. Compito di aziende tecnologiche come la nostra è mettere
i clienti in grado di cogliere queste trasformazioni alla massima
velocità relativa possibile.
Perché relativa?
Perché il cloud cambia il mestiere di molte persone nel mondo
“sottostante”: noi stessi, i nostri partner, i clienti, i cio,
i ceo. E ci vogliono cambiamenti normativi. Le forzature eccessive
sono dannose. Soprattutto se fatte con l’approccio sbagliato da
vendor tradizionali, piuttosto che da fornitori di servizi.
Dobbiamo ragionare sul medio-lungo termine in una logica win-win in
cui il cliente diventa partner: tu devi capire cosa sto facendo e
io devo parlare con te su quello che sto facendo, perché devo
capire come realizzare una trasmigrazione tecnologica che ti sia
veramente utile. Non siamo noi, ma la domanda e le esigenze dei
clienti che traineranno la cloud e decideranno fortuna o insuccesso
di una data soluzione.
Non è che indora la situazione?
Mi rendo conto che non è un passaggio banale, ma il cloud lo rende
necessario. Per questo dico che le forzature sono negative:
rischiano di distruggere il mercato. La trasparenza è un tema
chiave. Vincerà chi a prezzo e tecnologia saprà abbinare nel
cliente la percezione di credibilità e trasparenza.
Credibilità che oggi si scontra con i timori per privacy e
security.

Più che comprensibili. Ma può affrontarli meglio una piccola o
media realtà oppure una grande azienda come Microsoft che non può
non avere un’attenzione spasmodica a queste tematiche, che ha la
capacità di mobilitare investimenti nettamente superiori a
qualunque Pmi? La risposta alla sua osservazione la danno aziende
come la nostra che su sicurezza e privacy si giocano la loro
credibilità.
Il mercato resta titubante.
Per questo è inutile forzare con switch-off prematuri. Meglio
puntare su una strategia “ibrida”, capace di fare interagire
prodotti tradizionali e soluzioni cloud. Dobbiamo accompagnare i
nostri clienti per poterli convincere. L’unicità di Microsoft è
proprio questa: tutti i nuovi prodotti sono sia in versione
on-premise sia cloud, capaci di integrarsi da loro grazie ad Azure,
il più grande Windows server al mondo. Lì si possono sperimentare
soluzioni cloud da affiancare a quelle embedded aziendali, ad
esempio nei momenti di picco. Sa cosa abbiamo verificato? Che chi
prova il cloud per particolari esigenze, poi è più pronto ad
utilizzare con più fiducia la nuvola.
Uno associa il nome Microsoft ad acquisto licenze e
prodotti on-premise.

Fino ad oggi. Ma sarà sempre meno vero. Tra l’altro, il
paradigma del cloud è l’interoperabilità: il vecchio dibattito
fra open source e commercial software è superato. Non conta di che
tecnologia sei, ma che tu sappia giocare in un campionato dove
tutte le tecnologie coesistono. Non conterà che tecnologia usi, ma
dove funzionano meglio le cose.
Cos’è cambiato?
È cambiato che oggi uno usa una miriade di dispositivi diversi:
smartphone, pc, tablet, browser in generale. Questo significa che
le aziende devono dotarsi di tecnologie che consentano a tutti i
dispositivi di accedere ai contenuti aziendali. L’unico modo di
farlo è mettere il cloud al centro dell’ecosistema.
Non è molto vantaggioso per il vostro
business.

Solo apparentemente. In realtà per noi si apre un mercato cinque
volte maggiore dell’attuale: se prima avevamo un miliardo di pc,
ora abbiamo miliardi di device da servire. Per noi la cloud è una
business opportunity strepitosa.
E per l’Italia?
Una grande sfida per il sistema Paese. Cloud, ad esempio, significa
connessione broadband per tutti. Ma ce l’abbiamo? Richiede
cultura Internet. Ce l’abbiamo? Richiede dotazione informatiche
di aziende, pubblica amministrazione, imprese. Ce le abbiamo?
Inutile nascondercelo: siamo indietro almeno 5 anni rispetto agli
altri Paesi. Non possiamo permettercelo. Il cloud può essere un
motore. Ad esempio, la compelling reason che spinge la domanda di
broadband delle aziende. Con tutte le conseguenze che ne derivano.
Si è calcolato che entro il 2013 la cloud economy contribuirà del
30% alla crescita del Pil europeo. È il maggior acceleratore di
innovazione e sviluppo che oggi esiste: ma bisogna togliere i freni
e far divenire la cloud economy parte fondamentale della strategia
digitale dell’Italia.

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