FORMAZIONE

Scuola digitale, Italia spaccata a metà. Fedeli: “Innovazione sarà la bussola”

Secondo i dati di Skuola.net, la Lim è ormai un must per gli insegnanti. Ma appena 1 studente su 7 frequenta una “classe 2.0” e solo 1 su 4 ha acquistato e-book. E al Sud la situazione peggiora. La ministra annuncia: “Avanti tutta sul piano nazionale. E-skill chiave di volta per la formazione di qualità”.

Pubblicato il 11 Set 2017

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Il nuovo anno scolastico si apre all’insegna del digitale. Nel suo saluto la ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, ha sottolineato l’importanza dell’innovazione nel percorso scolastico. “Stiamo lavorando per accelerare l’attuazione del Piano Nazionale Scuola Digitale, per darvi sempre di più le competenze che vi servono per guardare al futuro”, ha detto nel suo messaggi rivolto agli studenti.

Uno sforzo da intensificare per ridurre il digital gap che affligge il comparto. Secondo i dati di Skuola.net, nonostante sforzi ed investimenti la diffusione del digitale nella didattica è sì migliorata nel corso degli ultimi 12 mesi ma forse troppo lentamente. E il Sud ancora arranca. Il divario fra Nord e Sud è inesorabilmente ampio, quasi incolmabile. Sotto ogni punto di vista. Lezioni 2.0, strutture, connessioni, strumenti a disposizione: la tecnologia nel Mezzogiorno è quasi una sconosciuta. Una distanza che appare in tutta la sua evidenza soprattutto se ci concentriamo proprio sulle lezioni. Il quadro, nel complesso, non sarebbe neanche così disastroso: l’82% degli studenti ha professori che utilizzano Internet – navigando su siti, visualizzando foto e filmati trovati online, ecc. – per spiegare meglio gli argomenti (il 34% spesso, il 48% a volte) e solo il 18% non ha questa fortuna. Ma, approfondendo, si scopre che al Sud addirittura il 41% dei ragazzi non ha mai svolto una lezione con computer, lavagna elettronica, tablet e smartphone (al Nord sono solo il 7%).

Dal punto di vista delle strumentazione Skula.net rileva come sia la Lim il supporto più diffuso (la usa il 61% dei docenti)
Nel 12% dei casi i docenti sfruttano il pc o il tablet di classe, utilizzato sia per compilare il registro elettronico sia come strumento didattico. Laddove invece la dotazione è carente, ci si arrangia all’italiana: a volte (il 15%) è il prof con il pc/tablet portato da casa, altre volte (il 6%) sono gli studenti a provvedere con i propri smartphone.

Se la Lim è ormai un oggetto comune negli ambienti scolastici (e, dove c’è, la metà degli studenti la usa quotidianamente), non si può dire la stessa cosa dei tablet per ogni studente. Solo il 14% (l’anno scorso erano il 9%) degli studenti frequenta una classe ‘duepuntozero’: 2 su 3 addirittura li ricevono senza sborsare un euro oltre al classico contributo scolastico, mentre gli altri devono mettere ulteriormente mano al portafogli. Un ulteriore 14% può portare in classe il proprio device, in ossequio alla politica del Byod (Bring Your Own Device), mentre tutti gli altri non li portano, per mancanza di soldi o di un esplicito invito da parte della scuola. Discorso simile per l’uso delle App – dizionari, calcolatrici, ecc. – durante le lezioni: tutti ormai hanno uno smartphone ma solo il 45% lo può mettere in funzione per compiti e spiegazioni.

Una delle conseguenze è che appena il 9% degli studenti (il 12% al Nord) ha tutti i libri di testo in formato digitale. Numeri insufficienti anche se aggiungiamo quel 16% che qualche e-book per la scuola lo ha comprato. Perché tre quarti dei ragazzi – il 75% – studiano ancora esclusivamente su libri cartacei. Anche se, va detto, 12 mesi fa erano molti di più (l’83%). Ma al Sud il dato schizza al 91%. Sarà anche per questo che il mercato degli e-book non decolla? Secondo un recente studio di Skuola.net, pur potendo scegliere, solo il 16% sceglierebbe esclusivamente libri digitali. Il problema è, dunque, strutturale? Cambiando il quadro si potrebbero convincere sempre più studenti a informatizzarsi non solo per l’intrattenimento ma anche per lo studio? È un’ipotesi.

Ma un altro risvolto negativo della faccenda è che la scuola, luogo deputato per far apprendere ai ragazzi cose nuove, non insegna niente in tema di tecnologia. Gli studenti, quando parliamo di innovazione, le conoscenze se le portano da casa. Il 55% degli intervistati giudica nullo o quasi il contributo del percorso scolastico nella costruzione del bagaglio di saperi in ambito digitale (un numero che al Sud sale al 72%). A mancare è un approccio sistemico al problema. Gli istituti sono immobili, non prendono iniziative: solo 1 scuola su 3 (il 32%) lo scorso anno ha organizzato corsi o incontri per migliorare la cultura digitale dei ragazzi (uso dei software, Arduino, coding, tanto per intenderci). Decisamente più grave la situazione al Sud: l’84% degli studenti non ha avuto la possibilità di approfondire queste tematiche durante momenti ad hoc.

Fortunatamente le cose cambiano se dalla teoria si passa alla pratica. Su questioni come cyberbullismo, corretto utilizzo di Internet, furti d’identità, truffe online, comportamento in Rete l’attenzione delle scuole è alta. Lo dimostra il fatto che la maggior parte degli istituti – il 52% – ha dedicato spazio all’approfondimento di questi temi. Sempre con il solito doppio binario Nord-Sud: nelle regioni settentrionali il dato sale al 63%, in quelle meridionali arretra al 26%. Una differenza che non ha bisogno di commenti. Sarà perché, soprattutto al Sud, pare non ci sia la minima conoscenza del Piano Nazionale Scuola Digitale, lo strumento che dovrebbe garantire il salto nel futuro da parte delle scuole. Il 78% dei ragazzi non sa proprio di che si tratta (al Sud sono il 90%!). Il 14% lo conosce attraverso il web, i giornali e le televisioni. Solo l’8% ne ha sentito parlare a scuola. Segno che anche i professori non sono poi così aggiornati sulla materia.

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