Non discutiamo se sia stata una “vittoria di Pirro” o se tale giudizio sia frutto di “infantilismo” nella lettura degli affari politici europei. Così come non ci interessa valutare se dello spread “non ce ne po’ fregar de meno”. Sono tutte battute di una campagna elettorale aspra e spesso sopra le righe.
Eppure, non ci può lasciare indifferenti l’accordo raggiunto lo scorso 8 febbraio sul bilancio europeo 2014-2020. È positivo che i capi di stato dell’Ue siano riusciti a trovare una non facile intesa, soprattutto in tempi di crisi e tagli di budget. Meno positivo, anzi del tutto negativo, è che a farne le spese è stato il Cef: il piano comunitario di sviluppo infrastrutturale esce fortemente ridimensionato negli stanziamenti per trasporti ed energia, ma addirittura quasi azzerato per interventi a favore dello sviluppo delle reti elettroniche di nuova generazione.
Di fronte allo stanziamento di 9,2 miliardi previsto dalla Commissione Broadband e servizi digitali e difeso strenuamente da Neelie Kroes, il Consiglio Ue ne ha tagliati ben 8. Ne resta appena uno. Tanto valeva tagliare anche quello; si sarebbe evitata una presa in giro. E dire che il budget Ue traguarda quel 2020 che dovrebbe rappresentare l’anno di compimento della Digital Agenda europea, l’anno cioè in cui l’Europa dovrebbe diventare una realtà digitale all’avanguardia nel mondo, competitiva per infrastrutture e servizi anche rispetto a quegli Stati Uniti che oggi guidano la danza di Internet e dell’economia digitale. Ora quel traguardo rischia di essere irraggiungibile e la sfida persa.
Ma c’è un effetto negativo più immediato. Gli investimenti in tecnologia della comunicazione, a partire dalle reti ultrabroadband, possono essere uno stimolo importante per rilanciare l’economia. Tutte gli studi mostrano che gli investimenti in Ict sono fra i motori più efficaci per la crescita del Pil e della competitività.
Ma la partita non è chiusa. Il Parlamento europeo potrebbe non riconoscere l’accordo dei capi di Stato e chiedere uno spostamento di risorse verso le infrastrutture digitali. Ci auguriamo possa accadere. Altrimenti, sarà il mercato a determinare il ritmo di sviluppo dell’economia digitale europea. Sarebbe un’abdicazione della politica: senza risorse, le sole carte regolatorie rischiano di non bastare.