Sensori nei server per abbattere i consumi

Sperimentato in California un innovativo sistema per il raffrescamento

Pubblicato il 29 Set 2009

Server farm sempre più verdi con il sistema di raffreddamento
sperimentato da un gruppo di ingegneri coordinati dal Lawrence
Berkeley National Laboratory, in California, che lavora col
sostegno del dipartimento dell’Energia Usa.
Raffreddare in maniera efficiente il parco server è una sfida per
le aziende: di solito comporta un grosso dispendio di energia, con
un forte impatto, quindi, sulle finanze e sull’ambiente. Stando
alle stime citate dagli studiosi del laboratorio californiano,
l’energia usata per raffreddare i sistemi IT rappresenta metà
del costo di gestione di un data center. Essendosi questi
enormemente ampliati, anche l’energia consumata è cresciuta: del
100% tra il 2000 e il 2006 solo negli Stati Uniti, secondo il
dipartimento dell’Energia americano, e potrebbe raddoppiare
ancora entro il 2011 se non si corre ai ripari.

Il problema, secondo gli ingegneri del Lawrence Berkeley, è che di
solito l’energia per raffreddare i data center viene male
utilizzata. Il team californiano, che ha collaborato con Intel,
Hewlett-Packard, Ibm e Emerson Network Power, ha testato perciò un
nuovo sistema che riesce a fornire l’esatta quantità di
raffreddamento necessario al macchinario It: non un grado in più e
non un grado in meno. Anche raffreddare troppo, infatti, fa
sprecare energia (e denaro). Oggi gli impianti di raffreddamento
sono gestiti separatamente dal parco macchine.
Gli ingegneri americani hanno invece pensato di far dialogare i
server direttamente con l’impianto di raffreddamento, usando dei
sensori sulle macchine che rilevano la temperatura e sviluppando un
software ad hoc che converte le informazioni delle attrezzature It
in un protocollo che può essere interpretato dai condizionatori.
L’idea può sembrare banale, ma non era mai stata messa in
pratica prima. Attualmente i condizionatori (i cosiddetti Computer
room air handlers o unità Crah) nel 76% dei data center sono
controllati usando sensori della temperatura situati presso le
bocchette dell’aria dei Crah. L’11% dei data center mette i
sensori nei corridoi tra le file di server, che è già meglio ma
non ancora l’ideale, dicono al laboratorio Lawrence Berkley.

Mettendo invece i sensori sui server e collegandoli con i Crah e il
sistema di controllo della temperatura dell’edificio, la
temperatura viene sempre mantenuta al livello ideale e non solo non
supera il tetto massimo consentito, ma non scende nemmeno sotto
questa soglia, perché anche raffreddare troppo è inutile.
In base ai dati raccolti dai ricercatori della Lawrence Berkeley,
il 90% delle aziende tiene il proprio data center ad almeno 5° C
al di sotto del limite massimo consentito dalla American society of
heating, refrigerating and air conditioning engineers, che fornisce
le linee guida sulla temperatura dei data center. “Esiste
l’idea diffusa che più il data center è freddo, meglio è. Ma
anche se la temperatura sale di qualche grado (sempre all’interno
dei limiti consentiti per il buon funzionamento delle macchine),
non c’è alcun rischio”, ribadisce Allyson Klein, manager
dell’Intel server platform group.

Per passare al nuovo sistema, assicura il team della Lawrence
Berkeley, il costo iniziale è basso e il ritorno
sull’investimento arriva già entro un anno per la maggior parte
dei data center. Tutti i risultati della ricerca saranno presentati
nel corso dell’Intel developer forum questo mese e al Data center
energy efficiency summit di ottobre.

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