L’Autorità Antitrust ha recentemente deliberato quattro provvedimenti paralleli nei confronti degli operatori telefonici che dovrebbero rappresentare un nuovo paradigma giuridico e di prassi nei servizi premium, un pilastro che potrebbe rilevarsi, e pericolosamente, ‘storico’ per un intero settore economico, e non solo.
Appena superate, con estrema fatica e con ben due interventi normativi, le incertezze sulla competenza a giudicare (v. CorCom), acquisiti nuovi poteri grazie alla implementazione della direttiva sui consumer rights, l’Antitrust ha immediatamente aperto le quattro istruttorie aventi identico oggetto, lasciando sostanzialmente ai content service providers (Csp) il ruolo di comparsa.
La querelle è nota : si tratta di servizi premium a diverso contenuto, informativo, social, erotico, offerti tramite pubblicità in navigazione mobile, banner o pop-up, che il consumatore può sottoscrivere attraverso un comportamento attivo direttamente sul suo smartphone o tablet di ultima generazione, grazie alla tecnologia ed ai dati in possesso dell’operatore telefonico.
Numerosi sono i precedenti in cui l’antitrust e l’agcom hanno sanzionato alcune pratiche scorrette relative, in particolare, alle modalità di primo contatto con il consumatore e di sottoscrizione degli abbonamenti, coinvolgendo sia gli operatori telefonici che i Csp. Entrambi le parti sono state costantemente ritenute responsabili in virtù della suddivisione dei profitti e ciò indipendentemente dall’articolato contrattuale, dalle manleve e dal sistema di controlli, ed indipendentemente dalla piattaforma tecnologica utilizzata.
Nei recenti procedimenti l’antitrust ha rigettato qualunque impegno delle parti volto a migliorare le condizioni di trasparenza, filtri e monitoraggio ex posti, considerati esclusivamente con riguardo al quantum della sanzione, stabilendo per converso un identico principio giuridico che rappresenta una rivoluzione copernicana nel settore:
1) costituisce una pratica scorretta aver venduto una sim abilitata alla ricezione dei servizi a sovrapprezzo poiché il consumatore non era informato adeguatamente – ex ante – delle sue effettive potenzialità ed in particolare della possibilità di sottoscrivere abbonamenti premium;
2) altrettanto scorretto è il sistema di enrichment , i.e. il metodo di identificazione unico dell’utente inviato direttamente dall’operatore al Csp, e di fatturazione automatica in bolletta, in mancanza di adeguato ed espresso consenso dell’abbonato.
Poco o nulla hanno rilevato le diverse formulazioni con le quali veniva specificata nelle condizioni generali del contratto telefonico l’abilitazione della sim di sottoscrivere servizi premium. Idem per le diverse modalità e canali predisposti dagli operatori al fine di operare il blocco selettivo dei servizi premium, disabilitando la Sim, a richiesta dell’abbondato. Idem per qualunque sistema di controllo ex post, accurato o lassista, per la verifica della correttezza dei Csp, per l’utilizzo di piattaforme dedicate, per la messa in opera di politiche di rimborso totale ai consumatori reclamanti.
L’idea di base dell’antitrust sembra essere quella che occorre agire come Alessandro Magno per sciogliere il nodo gordiano che consente agli abbonati la sottoscrizione dei servizi premium, per loro natura istintivi : nel mondo ideale dell’antitrust occorre un comportamento attivo ed ex ante del consumatore che richiede l’abilitazione della sim od una informazione preventiva adeguata e specifica e, pare di comprendere, ciò si applicherebbe anche al metodo dell’enrichment. Solo così facendo, sembrerebbe, il settore potrebbe avere ragionevole certezza di non incorrere in ulteriori strali sanzionatori. Sostanzialmente, per l’antitrust si dovrebbe passare da un sistema di opt-out, ad un sistema di opt-in e neppure in ‘costanza’ di acquisto ma a ‘freddo’, richiedendo espressamente l’abilitazione alla sim.
Pur condividendo molte preoccupazioni espresse dall’antitrust, in particolare riguardo al rischio di ritrovarsi iscritti attraverso semplici click di banner, appare evidente che tale impostazione rischia di uccidere un intero settore economico che genera circa 510 milioni di euro all’anno. Ancor più gravemente, l’antitrust sembra minare alla base la possibilità degli operatori di sviluppare ed implementare sistemi efficienti di mobile payment alternativi al circuito bancario che hanno dato una vera spinta al commercio elettronico ed al microcredito, non solo nei paesi sviluppati. Si rischia cioè di confondere una potente ed efficiente piattaforma tecnologica per una pratica commerciale. Tale pericolo è talmente reale che anche il parere fornito dall’Agcom è molto critico su questo unico e specifico punto.
Se è corretto informare preventivamente, e vigilare ex post al fine di evitare eventuali bug o vere e proprie truffe, ciò non potrebbe giustificare soluzioni burocratiche poco attente allo sviluppo del commercio elettronico sul quale il nostro paese è già molto indietro, ignorando il grande sforzo tecnologico che gli operatori ed i Csp hanno messo in opera per contrastarle, pur con diverse sfumature ed intensità. È poi piuttosto originale qualificare come pratica commerciale scorretta una potenzialità tecnologica offerta della sim, quasi che per ognuna di tali possibilità, vero oggetto del contratto, occorresse chiedere un consenso ripetuto ed esplicito al consumatore, e tutto ciò a fronte di concorrenti tecnologie e piattaforme poco o nulla regolate.