I lavoretti sono sempre esistiti, ovunque. Solo che adesso organizzati attorno a piattaforme digitali possono alimentari business globali. È la sharing economy, bellezza, potrebbe dire qualcuno. O crowd o gig economy. Chiamatela come volete, ma è un nuovo modello economico che sta facendo distruption anche nel mondo del lavoro. La protesta dei rider di Foodora, che analizziamo in queste pagine, è solo la punta di un iceberg colossale fatto da una miriade di startup più o meno milionarie che fondano la loro attività sulla disponibilità temporanea e parziale di forza lavoro.
Lo sta sperimentando anche Amazon negli Usa, affidando le consegne a dopolavoristi. «Cambia un intero paradigma», ammette il segretario della Camera del lavoro di Milano Massimo Bonini, che elenca gli elementi di disruption del caso Foodora: una piattaforma digitale come tramite tra lavoratori e azienda; i clienti che giudicano chi lavora; il rischio di impresa trasferito su chi lavora; l’organizzazione del lavoro attraverso algoritmi. Non si può tappare il buco della diga con un dito. E tantomeno provarlo a fare dall’Italia. È l’Europa che dovrebbe provare a riscrivere le regole del lavoro nella nuova era digitale.