È sempre più cyberwar. I Paesi e i servizi di sicurezza che hanno investito pesantemente in tecnologia intercettano le tracce digitali lasciate dai terroristi sunniti, gli altri inseguono Salah Abdeslam per giorni e senza beccare il fuggitivo. La guerra al terrorismo è prima di tutto una guerra che solo la tecnologia più avanzata può far vincere.
I terroristi sunniti del Daesh, del resto, hanno riportato le lancette della storia indietro di secoli. Tra teste di prigionieri mozzate ed esposte al pubblico, chiese secolari fatte saltare in aria, fucilazioni di massa di soldati iracheni catturati, fosse comuni nelle quali sono stati seppelliti vivi centinaia di donne e bambini yazidi, marchiatura delle case dei cristiani, uccisioni a colpi di mitra di centinaia di innocenti nei teatri parigini o bombe messe a sangue freddo sui charter russi, il Califfato ha messo il resto del mondo di fronte alla realtà di un Islam talmente violento ed estremo da apparire perfino non vero.
Una sorta di videogioco delle relazioni internazionali per usi di addestramento militare. E invece il Califfato è una realtà quotidiana che certifica come nel mondo non più unilaterale di oggi sia difficile assicurare la pace e la tenuta degli equilibri.
Agli antipodi c’è Dubai, un’altra realtà dell’estremismo islamico. Qui, il laissez-faire e il primato del commercio hanno prodotto un contesto davvero originale della globalizzazione.
Ma, soprattutto, hanno reso consumisti estremi gli stessi musulmani. Per capire quanto estremi si devono visitare, in successione, l’Aquapark, la pista da sci del Mall of the Emirates e la pista di pattinaggio sul ghiaccio del Dubai Mall.
Donne e ragazze islamiche stanno per ore nei giochi d’acqua accompagnate da strane mute che riproducono un burqa acquatico o si lanciano a pattinare anche velate con tutte le difficoltà del caso. Ma nulla, neppure i vincoli di una tradizione non favorevole, le ferma dal consumare esperienze di vita totalmente originali.
Quale estremismo islamico alla fine prevarrà? Personalmente sono convinto che il modello Dubai gradualmente conquisterà il mondo arabo.
E per una ragione banale: solo una società aperta può realizzare le opportunità di vita e di benessere che anche la maggioranza degli islamici ricerca. Il fanatismo sanguinario non intrappolerà mai gli arabi che preferiscono consumare più che sparare.