Tempo di stabilità e di nuovi porti per Sia-SSb. La società Ict
delle banche italiane punta sull’Europa per tornare a crescere,
seleziona le attività per ridurre i costi e pensa anche alle
alleanze.
Il 2007 era stato l’anno della fusione tra Sia e Ssb, nel 2008 si
era incominciato a parlare di vendita della società che, in fondo,
le banche azioniste vivevano un po’ come concorrente e un po’
come un fornitore obbligato. Poi un anno fa, lo stop alla procedura
di vendita che vedeva la contesa tra i francesi di Atos Origin (che
nel frattempo avevano passato la filiale italiana attiva nei
servizi IT ad Engineering) e il fondo paneuropeo Bridgepoint.
Uno stop mai spiegato ufficialmente, ma, secondo i più,
determinato dal “veto” di Banca d’Italia al passaggio
all’estero del controllo dell’azienda che fornisce strumenti e
servizi di pagamento, transazioni finanziarie e gestione carte al
sistema bancario. A questa motivazione, si aggiungeva il ridotto
interesse degli azionisti – le maggiori banche italiane, con il
32,8% di Intesa Sanpaolo, il 24,1% di Unicredit e poi, distanziate,
un’altra mezza dozzina di banche tra il 2,8 e il 5,8% e i gruppi
minori – che se un anno prima contavano di far cassa per 6-700
milioni, a quel punto trattavano su valori quasi dimezzati.
Nei giorni scorsi, Massimo Arrighetti, dalla
scorsa primavera amministratore delegato della società di cui era
già membro del Cda in rappresentanza di Intesa Sanpaolo (era
responsabile della Divisione Rete) ha presentato un piano
industriale che da qui al 2013 prevede un aumento dei ricavi, in
discesa da un paio d’anni, dell’11% rispetto ai 331 milioni
previsti per quest’anno. Dall’insieme di queste manovre
dovrebbe scaturire un balzo del Roe dal 3 al 16%. Dovrebbero
ridursi i costi del 20%, e sono previsti investimenti tecnologici
per 65 milioni nel triennio. Un’inversione di tendenza per
l’azienda che nel 2009 a livello di capogruppo ha visto ricavi in
discesa del 5% a 288 milioni con un risultato netto passato da
+16,7 milioni a – 20,7, anche per ristrutturazioni e minusvalenze,
mentre il consolidato ha visto i ricavi scendere da 379 a 351
milioni e gli utili da 11,6 a 3,8.
“Ho assunto la carica di Ad con un chiaro mandato di sviluppo
dell’azienda”, spiega Arrighetti al Corriere delle
Comunicazioni. Il mandato è quello di una crescita con i piedi per
terra. “In Europa ci sono attualmente una ventina di aziende che
operano nel nostro mercato. Le banche cercano servizi ad ampio
spettro e competitività nei costi: alla fine resteranno per un
processo di selezione tre-quattro nomi che contano e noi vogliamo
essere tra questi. Come lo faremo? Focalizzando la nostra presenza
in Europa, dove vogliamo crescere più che sul mercato domestico e
dove maggiori sono le opportunità e concentrando l’attività nei
settori dei sistemi di pagamento – dove tra l’altro abbiamo una
posizione preminente con il sistema unificato Sepa -, nelle carte,
nel mercato dei titoli di stato”.
Mercati che cambiano, priorità confermate per i mercati delle
banche, da quelle locali ai grandi gruppi, (“già otto grandi
banche europee si appoggiano sulle nostre piattaforme
transazionali) , il corporate e le istituzioni centrali, ma come
alimentare i nuovi sviluppi, con budget limati, che confermano un
organico attorno ai 1500 dipendenti, con nuovi ingressi soprattutto
per neolaureati? “Pensiamo ad accordi, non necessariamente
azionari, con altri partner che condividano la nostra visione in
Europa – risponde Arrighetti -. I minori costi rispecchieranno
anche dismissioni selettive, ma dobbiamo ancora recuperare
efficienza. Utilizzare meglio le risorse interne, ridurre i consumi
energetici che per un centro delle dimensioni e doti di sicurezza
come il nostro sono rilevanti, semplificare le piattaforme
informatiche, che oggi sono quattordici. Il lavoro non ci
manca”.
Il prossimo passo è già previsto: sarà l’unificazione delle
die attuali sedi in un nuovo polo alla periferia Nord di Milano, al
Lorenteggio.