Nome e cognome sono italiani, ma la carriera e la vision hanno respiro globale. Bruno Sirletti, nominato lo scorso ottobre presidente e a.d. di Fujitsu Italia, dopo essere stato per tre anni direttore marketing per Western e Eastern Europe, Medio Oriente, India e Africa, ha ricevuto un mandato ben preciso: allineare agli standard internazionali il bilanciamento dell’offerta e del fatturato tricolori sul piano dell’hardware e dei servizi. La parola d’ordine? Armonizzare. “Il momento è quello giusto, e l’Italia è diventata il mercato ideale su cui far partire progetti di innovazione digitale”, dice Sirletti, che aggiunge: “Nel giro di tre-quattro anni contiamo di portare il rapporto tra le vendite di prodotti e servizi al 50%” .
Che divario c’è tra il nostro Paese e gli altri mercati europei?
In Italia si lavora per il 75% sulla fornitura di hardware. In UK, per esempio, Fujitsu è al contrario un’azienda di servizi che fattura solo il 30% sui prodotti.
Come invertirete la rotta?
Assodato che oggi rispetto ai PC esiste un mercato di volume tarato sulla concorrenza di prezzo, continueremo a spingere storage e server, dove è possibile costruire valore aggiunto, oltre che computer di fascia alta, caratterizzati da tecnologie di riconoscimento biometrico. Per crescere sui servizi, invece, punteremo su ciò che sappiamo fare meglio. Secondo Gartner siamo in pole position rispetto ai temi dell’outsourcing e dello smart working, che in Italia sta già coinvolgendo i settori bancario e assicurativo. Ma abbiamo molto da dire pure per quanto riguarda i processi di digital transformation, sia per la Pubblica amministrazione, con focus anche sulle smart city, sia per il mondo private, a partire dal retail. Gli use case che abbiamo sviluppato in Giappone e in Europa si riveleranno particolarmente utili per guidare l’evoluzione che vogliono affrontare i clienti. Mutueremo conoscenze e persone dalle filiali estere per portare nuove competenze in Italia.
Fujitsu si unisce alle tech company che hanno annunciato grossi investimenti qui da noi?
Il momento storico è interessante. Ci sono diverse iniziative del governo che si muovono in direzione di un mercato del lavoro più flessibile e di una modernizzazione dell’infrastruttura broadband. A livello istituzionale c’è stata finalmente una presa di coscienza rispetto a quel che serve per recuperare il gap e attrarre i capitali delle multinazionali. In Fujitsu siamo molto pragmatici: senza annunciare investimenti da 100 milioni di dollari inseriremo gradualmente risorse nel sistema italiano, accrescendo anche le capacità del nostro data center.
Lo scenario competitivo si fa sempre più ricco, quali sono i vostri elementi differenzianti?
In ambito smart city vantiamo tutta l’esperienza che abbiamo maturato in Giappone, un Paese che per far fronte a criticità connaturate al territorio ha elaborato soluzioni intelligenti con dieci anni di anticipo rispetto al resto del mondo. All’interno della Grande Area di Tokyo, che conta 35 milioni di abitanti, il sistema di gestione del traffico è per esempio opera nostra. Altro elemento che viene dal DNA nipponico è l’attitudine a lavorare con i clienti sul lungo termine: la digital transformation si basa sulla relazione umana, e un rapporto di lungo corso favorisce un’interazione profonda, da cui possono scaturire grandi cose. Noi siamo specialisti di tecnologia, ma non, per l’appunto, di smart city. Lavorando fianco a fianco con chi conosce approfonditamente le esigenze di una città possiamo identificare insieme le soluzioni giuste. A differenza di molti nuovi player, inoltre, Fujitsu conosce sia il mondo digitale sia quello tradizionale ed è in grado di integrare nuove soluzioni con le piattaforme esistenti secondo una logica di Hybrid IT. Infine, siamo consapevoli che quando si parla di innovazione, specialmente in ambito smart city, i grandi progetti non funzionano mai.
Ovvero?
Le faccio un esempio. A Dubai, dove trovare un posto auto è ormai difficilissimo, abbiamo realizzato con successo un sistema basato sulle videocamere di sorveglianza. L’applicazione si connette ai navigatori delle vetture e indica ai conducenti gli spazi liberi in zona, permettendo loro di prenotarne uno. Procedendo per gradi, le cose funzionano. Chi ha invece cercato di creare una smart city dal nulla ha fallito. Anche in questo senso vedo in Italia un enorme potenziale. La diffusione dei processi d’innovazione a macchia di leopardo, tipica delle Penisola, è un vantaggio in chiave di digital transformation. In Francia, dove invece si tende a gestire tutto in maniera centralizzata da Parigi, si registrano parecchie difficoltà.
Lo sviluppo dell’offerta di servizi riguarda anche lo Smart manufacturing?
Sì, ma non da subito. Pensiamo ci siano buoni margini di crescita, visto il tessuto industriale italiano. Ma preferiamo dare la precedenza ai settori in cui abbiamo già maturato ottime relazioni, e la PA, il finance e il retail sono i verticali in cui siamo siamo più forti.
Ci sono in programma partnership e acquisizioni?
Sulle partnership abbiamo le mani libere, rispetto a possibili acquisizioni dobbiamo invece avanzare proposte. Una cosa è certa: non compreremo per aumentare fatturato e clienti, punteremo su aziende con proprietà intellettuali e tecnologie interessanti, soprattutto rispetto all’ambito del retail. Il presidente Tanaka ha dato il via libera per una decina di acquisizioni a livello europeo. Se troviamo l’azienda giusta, una di queste sarà in Italia.