«Il tema è giusto ma lo svolgimento è discutibile». Francesco Paolo Sisto, deputato FI e componente della commissione Affari Costituzionali della Camera, spiega cosa non va nel nuovo Cad.
Qual è la sua critica al Cad?
Modernizzare la PA, anche attraverso un impianto normativo che sostenga la trasformazione digitale, mi pare, più che doveroso, necessario. Ma questo Codice rischia di farci morire di carta più che contribuire all’innovazione.
Perché?
Perché è frutto di un metodo di lavoro “governo-centrico”, di una discussione esauritasi all’interno dei ministeri, senza alcun vero confronto parlamentare. Un metodo che è il risultato di una delega troppo ampia data all’esecutivo su un tema, come quello della PA digitale, che invece deve essere patrimonio critico di tutto il Paese, dato che sul digitale l’Italia si gioca il futuro. La correttezza del metodo è fondamentale perché, mentre sul merito si può essere in disaccordo – la democrazia è anche questo – sul metodo non ci possono essere transazioni, perché le regole sono a garanzia di tutti.
Ma il Cad introduce novità importanti sul fronte della cittadinanza digitale…
Per ora il Cad è un libro dei sogni. Chi è che ha il coraggio di dire che Spid non serve oppure che il domicilio digitale è inutile? Ma io vorrei sapere se la nostra PA è in grado di realizzare questi progetti. Se ci sono le risorse – non credo che l’innovazione sia a costo zero – se i dipendenti riusciranno di governare il cambiamento, con efficienza e tempi congrui.
Il governo ha assicurato che emanerà le regole tecniche nel gennaio 2017.
Ecco perché il Cad è un libro dei sogni. Vediamo le regole tecniche perché è su quelle che si gioca la partita, sono quelle che ci diranno “come” verrà realizzata la PA digitale. Il resto è una dichiarazione di principio a favore dei vertici politici più che dei cittadini.
In che senso?
Scorrendo le norme, non ho trovato grandi novità nel rapporto tra cittadino e PA. Ho trovato, invece, nomine fatte in maniera poco opportuna.
Si riferisce alla nomina del commissario al Digitale, Diego Piacentini?
Al di là delle qualità della persona e del manager, mi chiedo se fosse impossibile nominare qualcun altro.
Che conoscesse meglio la PA italiana?
La burocrazia è un sistema che si regge su delicati equilibri, che vanno conosciuti a fondo. E se si vogliono “scardinare”, serve anche una grande capacità di mediazione politica. Essere una manager di caratura internazionale è un valore aggiunto, ma non basta.
Sta dicendo che il piano digitale di Renzi è destinato al fallimento?
Non arrivo a tanto, ma certo il metodo utilizzato per realizzarlo presenta notevoli lacune. Se il governo avesse chiesto collaborazione al Parlamento, avremmo avuto prospettive maggiormente plausibili.
Ci sono stati passaggi nelle commissioni e la partecipazione della società civile…
I pareri delle commissioni non sono vincolanti. La partecipazione della società civile, mi pare una bella iniziativa ma – se non erro – l’Italia è ancora una democrazia parlamentare e il confronto finale va fatto in aula. Il premier alla partecipazione parlamentare è ostile: basta annusare la riforma con cui, se non difendiamo gli assetti della democrazia parlamentare con un NO al referendum, vuole normalizzare i percorsi legislativi.
Che c’entra il referendum?
C’entra: altererebbe il ruolo di contrappeso del Parlamento rispetto al Governo che diventerebbe “papa, re e cardinale”, come avvenuto di fatto nel caso della PA, avvalendosi di una inammissibile autoreferenzialità.