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Smart city, il digitale non è come un bancone di verdura

Ecosostenibilità e digitale termini usati spesso per distinguersi dal “tradizionale”. Giusto aprire una nuova linea di prodotto, anche nel marketing culturale e accademico, ma è necessario che le città intelligenti funzionino davvero

Pubblicato il 06 Mag 2013

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Sono reduce da una settimana di intenso lavoro per completare la partecipazione della mia università (Roma Tre) al progetto Smart Cities. Sono uno dei molti partecipanti e al mio gruppo è affidato un piccolo segmento. Credo dunque fortemente in questo progetto: la dimensione Ict è fortemente urbana e metropolitana. Non dimentico le campagne e le intere regioni italiane afflitte dal digital divide ma non c’è dubbio che la grande sfida è negli spazi urbani e nella loro capacità di competere con altre metropoli del mondo che sono meglio governate, più abbondantemente finanziate, e riescono ad attirare flussi turistici, aziende innovative, operatori culturali, creativi più o meno alla Richard Florida, e non soltanto venditori di caldarroste resi schiavi dal racket del commercio ambulante… e qui mi fermo per carità di patria.

Quello che più ci affatica, nella progettazione, è una strategia globale per diventare smart: è più importante realizzare piste ciclabili o spot wi-fi? Mettere gli open data in rete o ampliare gli asili nido? Car sharing o raccolta differenziata? Vedo già sorrisi di compatimento: mi si dirà che la risposta dipende dalla situazione locale, e qualcuno magari farà una bella lezioncina sulla glocalizzazione. Purtroppo non è così semplice, e per questo riformulo la domanda: piace più agli elettori il wi-fi libero o la pista ciclabile? Gli open data portano voti o li allontanano? Il pericolo che molti segmenti “smart city” siano fatti prevalentemente in un’ottica di comunicazione – per non dire di propaganda – esiste. Magari la mancanza di denaro consiglia di finanziare progetti visibili subito che poi costano meno di un solo km di metropolitana che poi sarà inaugurata dal successore del sindaco in carica. Ovviamente anche gli amministratori delle varie città europee guardano al gradimento di chi li deve eleggere, ma l’approccio è assolutamente più sistemico.

Tutti gli interventi dovrebbero essere interoperabili e collegati fra loro in una rete, e possibilmente inseriti in un quadro di prerequisiti e di priorità. Su questo mi pare che ci sia molto da fare, anche nella comunità scientifica. Architetti, ingegneri, studiosi dei media, economisti hanno realizzato estensioni Ict delle loro discipline, aggiungendo a ciascuna un reparto “ecosostenibile” e “digitale” come il bancone della verdura biologica nei supermercati accanto a quello della verdura “normale”. È giusto aprire una nuova linea di prodotto, anche nel marketing culturale e accademico, ma stiamo lavorando a un compito più alto: i servizi “smart city” funzionino davvero, siano utili alla crescita delle città, parlino fra loro, facciano rete e massa critica.

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