Un po’ statistico, un po’ informatico, un po’ economista, ma anche esperto di marketing e appassionato di comunicazione. È il data scientist, il mestiere che già nel 2013 la Harvard Business Review definiva come la “professione più sexy del 21esimo secolo”. Una figura che richiede quindi competenze multidisciplinari, perché deve non solo selezionare, analizzare e interpretare una mole di dati sempre più ampia e complessa, ma anche trovare la modalità migliore per mettere le elaborazioni e i risultati ottenuti a disposizione della struttura per cui lavora, che sia un’azienda o una pubblica amministrazione. L’obiettivo finale, infatti, è utilizzare le informazioni ottenute dai dati per prendere decisioni efficaci ed elaborare strategie utili al business aziendale o alla gestione del territorio.
Se nel mondo anglosassone questa esigenza appare già evidente da tempo, ora anche in Italia comincia ad emergere la richiesta di figure professionali appositamente formate per svolgere questo ruolo. Digitando “data scientist” su Linkedin compaiono oltre tremila offerte di lavoro, di cui 1.895 negli Stati Uniti, 183 nel Regno Unito, e attualmente una decina in Italia. Ancora poche? Certamente, ma nel nostro Paese l’interesse sta crescendo e più che i numeri ce lo dicono direttamente le aziende interpellate sul tema, come sottolinea Claudio Sartori, professore del Dipartimento di Informatica – Scienza e Ingegneria dell’Università di Bologna e Direttore scientifico del Nuovo Master in Data Science di Bologna Business School. “Prima di avviare il Master – spiega infatti Sartori – abbiamo chiesto a un ampio network di aziende se sarebbero interessate a inserire per uno stage e poi stabilmente nel proprio organico questa nuova figura professionale e tutte si sono dimostrate entusiaste”. “In particolare quello che chiedono è proprio un approccio interdisciplinare che non trova molto riscontro nelle offerte dei corsi di laurea tradizionali – spiega Sartori -. Le lauree triennali sono insufficienti, mentre tra le lauree magistrali solo quella in statistica si avvicina al quadro che stiamo tratteggiando, ma non approfondisce abbastanza l’aspetto tecnologico-informatico né quello economico”.
Ecco quindi che molti Atenei hanno attivato dei corsi specifici: dal Politecnico di Milano all’Università di Torino, dagli Atenei romani (Sapienza, Luiss e Tor Vergata) a quelli di Pisa e Venezia, fino appunto al neonato Master bolognese. “Oggi chi lavora con i dati si trova di fronte una mole di informazioni che si aggiorna con tempi velocissimi e che presente diecimila variabili – spiega Sartori -. La domanda è: quali sono quelle davvero interessanti? Il data scientist deve come prima cosa mettere ordine nei dati, poi chiedersi dove vuole andare la sua organizzazione, quali sono le informazioni che possono essere utili per la sua strategia. Infine, deve saper fare ma anche saper comunicare, mettere a disposizione del management i risultati di ciò che ha fatto. Le analisi più sofisticate sono utili solo se vengono correttamente trasmesse a chi deve prendere le decisioni, quindi comprese e utilizzate per ottenere i risultati desiderati”. Parliamo di risultati economici per le aziende, di servizi più efficienti e di risparmio di spesa. Un esempio di applicazione? Si va dal classico CRM, che attraverso analisi sempre più sofisticate potrebbe aprire opportunità inedite nei rapporti con la clientela, ai dati che arrivano da twitter o dai blog e che rappresentano sfide nuove, perché non si tratta più di analizzare dati strutturati ma testi liberi da cui estrarre significato. Un’occasione per approfondire queste nuove skill, di cui ormai nessun decisore può fare a meno, e per confrontarsi sugli scenari che si aprono per aziende e amministrazioniè stato il convegno “Le nuove competenze e i nuovi “mestieri” nel mondo dei dati” in programma il 16 ottobre a Bologna, nell’ambito di SCE2015 – Citizen Data Festival.