Bene la proroga dello smart working per alcune categorie di lavoratori, ma ora serve accelerare. Asstel plaude alla norma prevista nella prossima conversione del Dl Aiuti.
“La proroga del diritto allo smart working per i lavoratori fragili e per chi ha figli sotto i 14 anni – dice la direttrice di Asstel, Laura Di Raimondo – rappresenta un giusto segnale di attenzione in questa fase ancora complessa. L’auspicio è che, da qui alla scadenza del prossimo 31 dicembre, il nuovo governo implementi ulteriormente lo smart working, facendo tesoro di quanto accaduto durante la pandemia”.
“Siamo convinti come Filiera delle Tlc che lo smart working non debba essere una misura di welfare – conclude – ma un nuovo modello di organizzazione del lavoro attraverso il quale generare valore per imprese e lavoratori ed incidere positivamente anche sul risparmio energetico”.
Smart working, cosa prevede la norma
Nel Dl Aiuti prevista la proroga fino al 31 dicembre lo smart working per i lavoratori, non solo fragili o genitori di figli con meno di 14 anni, ma tutti. La misura comporta oneri per 18,6 milioni di euro.
“In diverse occasioni, negli scorsi mesi, avevo proposto la proroga e mi ero impegnato affinché fosse approvata: promessa mantenuta”, scrive su Facebook il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, sottolineando che “la misura è stata inserita nel DL Aiuti-bis in conversione al Senato e rappresenta un intervento fondamentale per tutelare le persone più fragili, i genitori con figli piccoli e continuare a garantire migliore conciliazione del tempo vita-lavoro grazie alla modalità agile. Grazie agli uffici del Ministero del Lavoro e al Partito Democratico per questo importante risultato. Questo obiettivo è stato realizzato anche grazie a risorse del Ministero del Lavoro”.
Per Enrico Letta, segretario del Pd, si tratta di una “scelta concreta a favore dei più fragili”.
Il Dl Semplificazioni e la procedura “snella”
La novità contenura nel Dl Aiuti arriva dopo le norme inserite nel Semplificazioni che rendono strutturale le procedura semplificata per lo smart working. Dal 1° settembre 2022, il datore di lavoro deve comunicare in via telematica al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali i nominativi dei lavoratori e la data di inizio e di cessazione delle prestazioni di lavoro in modalità agile, secondo le modalità individuate con il Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 149 del 22 agosto 2022 aventi ad oggetto il modello di “Comunicazione Accordo di Lavoro agile (Articolo 23, comma 1, della L. n. 81/2017)” e le “Regole di compilazione della comunicazione dell’accordo per lo svolgimento dell’attività lavorativa in modalità “Lavoro Agile”. La comunicazione telematica dovrà avvenire mediante l’applicativo disponibile, tramite autenticazione Spid e Cie, sul portale Servizi Lavoro, oppure, in alternativa, mediante i servizi telematici Api Rest di invio delle comunicazioni.
Smart working, la fotografia italiana
Ma la situazione nel nostro Paese non è rosea: l’Italia rallenta la corsa allo smart working. Su 8,3 milioni di potenziali lavoratori da remoto solo un terzo è “smart worker” almeno un giorno a settimana contro i 12,2 del 2020. Emerge dall’analisi di Randstad Research secondo cui si tratta di un trend in controtendenza rispetto agli altri Paesi europei che registrano un’accelerazione verso il lavoro agile anche all’indomani delle misure anti-pandemiche più stringenti.
Lavora da casa il 13% degli occupati
Lo studio rileva come alla fine 2019 fossero 1,15 milioni gli italiani che lavoravano almeno in parte da casa, arrivati a 2,9 milioni di lavoratori da remoto almeno un giorno a settimana all’ultima rilevazione di fine 2021, in crescita ma ancora solo il 37,2% del potenziale. Sul totale degli occupati, oggi il 13% dei lavoratori italiani lavora da casa. Nello specifico, il 5,9% per 2 o più giorni a settimana, il 7,1% meno di 2 giorni a settimana.
Se però si analizza il dato di chi lavora da casa per almeno metà del tempo, confrontandolo con gli altri paesi europei, si scopre che l’Italia è fanalino di coda e sta “tirando il freno” al lavoro da remoto. La percentuale degli occupati che lavorano almeno la metà delle ore da casa è salita dal 3,6% del 2019 al 12,2% del 2020, per scendere poi all’8,3% nel 2021. Mentre nello stesso periodo la media Ue è passata dal 5,4% del 2019 al 13,4% nel 2021 in crescita costante.
Ma aumentano gli smart worker “a metà tempo”
Se invece si considerano le persone che lavorano da casa meno della metà del tempo, l’Italia è in decisa crescita, dall’1,1% del 2019 al 6,5% nel 2021, ma resta comunque nelle ultime posizioni, mentre la media europea è arrivata al 10,6%. Rispetto ai Paesi Bassi, siamo sotto di quasi 25 punti percentuali.
“Finita la fase più dura della pandemia, quella legata al lockdown, aziende e lavoratori italiani sembrano aver scelto la strada del ritorno alle modalità di lavoro tradizionali, non cogliendo un’opportunità di cambiamento storica – spiega Daniele Fano, Coordinatore del Comitato Scientifico Randstad Research -. Una scelta che si differenzia molto rispetto a quanto fatto nei principali paesi europei. La rivoluzione dello smart working nel nostro paese sembra aver interessato, stabilmente, solo alcune categorie professionali, che non dipendono da una presenza fisica in ufficio e possono facilmente lavorare da casa. Ma di certo rimane aperto il tema della qualità di questo tipo di lavoro, in termini di integrazione con la mobilità intelligente, la programmazione per obiettivi, la congruenza dello stesso lavoro fatto nelle mura domestiche, la capacità di combinare la distanza con incontri in presenza”.
Più donne che uomini fra i lavoratori agili
Sono le donne ad avvalersi maggiormente del lavoro da remoto. A fine 2021 il 14% delle occupate lavora in parte da casa, contro l’11,9% dei colleghi maschi.
Il 6,6% delle donne lavora per la maggior parte del tempo da casa e il 7,8% meno di 2 volte a settimana. Per gli uomini percentuali leggermente più basse: rispettivamente il 5,4% e il 6,5%.
Ha un’età compresa tra i 35 e i 39 anni quasi il 60% di chi è al lavoro da casa per almeno metà del tempo lavorativo, solo il 20% tra i 15 e i 34 anni. È ultra 55enne il 22,3% di chi lavora per la maggior parte del tempo a distanza, il 26,6% di chi è a casa meno di 2 giorni alla settimana.
Più smart al Centro e al Nord Ovest
L’utilizzo del lavoro da casa risulta fortemente differenziato nelle varie aree geografiche del paese. Il 15,5% dei lavoratori del Centro operano almeno in parte da casa.
A seguire il Nord-Ovest (15,2%) e il Nord Est. Distanti le Isole e il Sud Italia dove lavorano almeno in parte da casa rispettivamente il 9,3% e il 9,1% degli occupati.
Il confronto con l’Europa
Quasi ovunque in Europa si nota un aumento continuo dello smart working dal 2019 al 2021. La media europea degli occupati che lavorano spesso da remoto passa dal 5,4% del 2019 al 12% del 2020 al 13,4% del 2021.
In Irlanda, al primo posto in classifica, si è passati dal 7% del 2019 al 32% del 2021. In Belgio dal 6,9% al 26,2%. In Germania dal 5,2% al 17%. L’Italia è l’unico paese dell’Europa a 27, assieme alla Spagna, a far segnare un arretramento nel 2021 rispetto all’anno precedente. Si è passati dal 3,6% del 2019 al 12,2% del 2020, per poi scendere all’8,3% della fine del 2021.