Smart working, Turi: “Si ripropone il lavoro a domicilio. Non è progresso”

La Segretaria nazionale Fiom: “Si rischia di ghettizzare donne e precari. La legge delega rafforza il potere di controllo delle aziende e smantella diritti contrattati in questi anni sul telelavoro”. Si teme il caos retribuzioni

Pubblicato il 08 Mar 2016

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«Il lavoro agile, così come pensato nella delega la governo, rischia di diventare la riproposizione del vecchio lavoro a domicilio: un lavoro di bassa qualifica svolto tra le mura domestiche, soprattutto da donne e giovani precari”. Roberta Turi, segretaria nazionale della Fiom Cgil va giù dura contro il provvedimento.

Cosa non va nello smart working?

Il punto non è lo smart working in sé che, se efficacemente regolato, può rappresentare una svolta. Il punto è capire se c’era davvero bisogno di una legge di questo tipo per incentivare il lavoro agile. Noi crediamo di no.

Per quale motivo?

La disciplina del telelavoro è normata dall’accordo interconfederale del 9 giugno 2004, con cui varie associazioni datoriali, dell’industria e dei servizi, tra cui Confindustria e Cgil, Cisl e Uil, avevano recepito l’accordo quadro europeo sul telelavoro del 16 luglio 2002. Dal 2004 ad oggi c’è stata una crescita costante dell’utilizzo del telelavoro, anche saltuario, che è stato normato da aziende e sindacato in numerosi accordi collettivi aziendali. Tra le aziende metalmeccaniche il primo accordo è stato sottoscritto nel 2003 in Ibm. Da allora gli accordi di telelavoro si sono diffusi in molte altre realtà lavorative, soprattutto nel settore dell’Ict: Almaviva, HP Es, Lottomatica, Alcatel Lucent. In tutte queste aziende, grazie ad accordi sindacali, si è diffuso l’utilizzo del telelavoro che viene svolto in modalità anche flessibili. Ma sempre garantendo tutele e diritti alle lavoratrici e ai lavoratori.

Diritti e tutele non sarebbero garantite nella legge?

A nostro avviso no. A cominciare dalla retribuzione. Nel testo si dice che “il trattamento economico non deve essere complessivamente inferiore” non che sia identico. Ecco, a noi non basta che sia complessivamente inferiore, deve essere uguale. Ed è necessario che sia messo nero su bianco altrimenti si apre la strada alla discriminazione. C’è poi il tema del diritto alla riservatezza del lavoro e il potere di controllo dell’azienda…

Il testo richiama a un accordo su questo fronte…

Nel capitolo sul potere di controllo e disciplinare c’è una novità: il datore di lavoro ha diritto di controllare la prestazione del lavoratore nei limiti indicati dall’accordo individuale e nel rispetto della legge. Si fornisce la possibilità, nell’accordo individuale, di inserire anche altri comportamenti disciplinarmente rilevanti, ulteriori a quelli contenuti nel codice disciplinare applicato dal datore di lavoro – quello previsto dal contratto nazionale – specificandone le relative sanzioni nel rispetto del principio di proporzionalità. Ed è a questo punto si introduce un principio molto grave ovvero che l’accordo tra lavoratore e datore di lavoro può peggiorare il contratto nazionale per quanto riguarda i provvedimenti disciplinari. In pratica aumenta il diritto al controllo dell’azienda e diminuisce quello alla riservatezza per il lavoratore.

Il ministro Poletti ha posto l’accento sul fatto che, per la prima volta, l’Inail si farà garante della sicurezza del lavoratore. Lei che idea si è fatta?

Sono perplessa. Siamo veramente sicuri che l’Inail sia disposta a pagare il lavoratore che operi da remoto, magari anche fuori casa? Io ho più di un dubbio. Il rischio è che ci si ritrovi tutti senza assicurazione. Basti vedere le difficoltà che ci sono oggi – nella normale prestazione di lavoro con sede fissa – a farsi a riconoscere gli infortuni in itinere.

Il governo è convinto che questa legge darà la volata a una nuova organizzazione del lavoro, più snella ed efficiente.

In realtà la delega fa un pericoloso passo indietro rispetto all’accordo del 2004. Stando a quell’intesa, i carichi di lavoro ed i livelli di prestazione del telelavoratore devono essere equivalenti a quelli dei lavoratori che svolgono attività nei locali dell’impresa. Oggi, nella legge delega, sui carichi di lavoro non c’è nulla, quindi li potrà deciderà l’azienda.

Temete un ridimensionamento del ruolo del sindacato?

No, temiamo lo smantellamento dei diritti che è ben altra cosa.

Perché?

Nelle delega non si parla di diritti collettivi. Sono invece menzionati i contratti collettivi che potranno integrare la disciplina sul lavoro agile. Nell’accordo del 2004 si prevede, invece, che i telelavoratori abbiano gli stessi diritti collettivi dei lavoratori che operano all’interno dell’azienda. Il datore di lavoro garantisce l’adozione di misure dirette a prevenire l’isolamento del telelavoratore rispetto agli altri lavoratori dell’azienda, così come l’opportunità di incontrarsi regolarmente con i colleghi e di accedere alle informazioni dell’azienda. Temiamo che dietro la narrazione del lavoro agile ci sia in realtà l’obiettivo non dichiarato di liberare le aziende dai “lacci e lacciuoli” del telelavoro, svuotandolo di diritti e tutele. Così pensato, il lavoro agile diventa uno strumento utile solo alle aziende per superare i vincoli faticosamente contrattati in questi anni con il telelevoro e, più in generale, per destrutturare definitivamente la prestazione di lavoro e cancellare diritti.

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