IL CASO

Snap e il profit warning: -43% in Borsa, effetto domino sulle big tech

Revisione al ribasso dell’outlook a causa dell’aumento dei tassi di interesse, della crescita dell’inflazione e delle difficoltà di approvvigionamento delle materie prime. Meno assunzioni e investimenti. Secondo gli analisti siamo alle porte di un macro-trend che impatterà a catena in particolare sul business del digital advertising

Pubblicato il 25 Mag 2022

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Ieri l’indice dei titoli tecnologici di Wall Street ha fatto segnare perdite vicine al 3,5%, trascinando al ribasso anche alcuni operatori della pubblicità online. A innescare una reazione a catena che ha fatto fibrillare molti colossi tecnologici è stato il tracollo delle azioni di Snap: la società californiana che tra i vari prodotti gestisce la piattaforma Snapchat è sprofondata del 43% in seguito alla divulgazione delle analisi del Ceo, Evan Spiegel, che in una nota ai dipendenti ha annunciato una revisione al ribasso delle previsioni sulla crescita per il trimestre in corso. Aumento dei tassi di interesse, crescita dell’inflazione e problemi di approvvigionamento di materie prime sono i principali problemi citati dal manager, il quale ha specificato che la società rallenterà il ritmo delle assunzioni e investirà “a un ritmo più lento di quanto previsto, dato l’ambiente operativo”.

L’effetto domino sulle Big Tech

Dopo il profit warning, Snap ha perso più di un terzo del suo valore, e molti investitori hanno abbandonato le Big Tech: Meta ha perso il 9,5%, Alphabet l’8%, Amazon il 4%, Apple il 3,4% e Twitter il 3%. Ma non sono state risparmiate nemmeno Tesla e Netflix, che hanno ceduto rispettivamente il 5,6% e il 4,97%. Come accennato, sono state colpite anche le società di annunci pubblicitari online: il titolo di Trade Desk ha ceduto il 18,5%, quello di Pubmatic il 15,85%, quello di Digital Turbine il 13,17%.

Il fantasma di una possibile recessione sta portando gli indici Standard and Poor’s e il Nasdaq a registrare la serie più lunga di ribassi settimanali a partire dalla bolla dele dot-com del 2001. Un calo che arriva dopo due anni di crescita per il settore tecnologico statunitense, con gli utenti che durante i lockdown e le fasi di restrizioni più stringenti per la pandemia di Covid hanno speso più tempo e risorse online.

Al tempo stesso, i dati sull’attività commerciale negli Stati Uniti stanno mostrando un rallentamento moderato a maggio: i prezzi più elevati hanno raffreddato la domanda di servizi, mentre i vincoli di offerta a causa dei nuovi lockdown in Cina e il conflitto in corso in Ucraina hanno ostacolato la produzione nelle fabbriche.

Una possibile crisi di sistema

L’impatto delle dichiarazioni del numero uno di Snap potrebbe apparire fuori scala date le dimensioni dell’azienda. Il gruppo infatti genera una piccola frazione del giro d’affari messo in moto da aziende come Facebook e Google. E il gruppo guidato da Mark Zuckerberg d’altra parte aveva già avvertito gli investitori il mese scorso che le entrate nel secondo trimestre potrebbero diminuire rispetto all’anno precedente, una netta ammissione di difficoltà per una società che non aveva mai visto una crescita inferiore a due cifre prima di quest’anno.

Ma “l’avvertimento di Snap è chiaramente negativo per tutti i peer supportati dalla pubblicità”, hanno scritto gli analisti di Atlantic Equities. Opinione condivisa dagli esperti di Piper Sandler, secondo i quali il trend “è più macro e riferito all’intero settore piuttosto che soltanto a Snap”, e da quelli di Jmp Securities, che precisano “I venti contrari probabilmente riguardano tutta la pubblicità digitale”, aggiungendo che i budget dei marchi, e in particolare quelli digitali, “sono più a rischio di essere ridotti man mano che le aziende riducono la spesa pubblicitaria”.

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