«Me l’aspettavo. Questo in effetti è un problema». Alberto Maestri, esperto di social media per Ninja marketing, risponde così quando gli si chiede quanti degli articoli che pubblica riguardano le aziende della Penisola. “In effetti spesso le agenzie dicono di fare fatica a introdurre certi concetti nelle aziende italiane. In generale un articolo su 10 parla del nostro Paese. Si tratta di aziende molto grandi o iniziative piccole che hanno l’idea ma non l’investimento. Il problema è la dimensione media delle nostre aziende”.
Perché un’azienda dovrebbe usare i social media?
Servono a coltivare la relazione. Il primo passo è creare engagement, una piazza. I social media si posizionano in un punto intermedio fra la vendita e il consumatore, anzi l’individuo. In più attraverso la pubblicità su questi strumenti è possibile targettizzare la comunicazione.
Esiste poi da parte delle aziende un problema di misurazione dei ritorni.
Però è vero che alcuni strumenti sono già disponibili. Gli analytics di Facebook e Google sono in grado di offrire buone statistiche. Integrando questo tipo di strumenti con il lavoro delle agenzie specializzati si possono ottenere risultati interessanti. Bisogna poi sfatare il mito che Facebook, Twitter o Youtube siano gratis. Anche in questo ambito bisogna investire.
La loro utilità dipende anche dal tipo di target a cui si fa riferimento.
Il concetto di target deve essere inteso a livello macro. Per esempio Linkedin va bene se ci si rivolge a un mondo business to business. Con gli altri social network generalisti invece è possibile arrivare a un livello di profilazione che permette di segmentare il target di interesse. Ed è sbagliato ritenere che siano luoghi da ragazzini. A Facebook sono iscritti una ventina di milioni di persone quindi bisogna saper tarare i contenuti per colpire la fetta di pubblico desiderata.
Quindi i social network devono ormai fare parte della strategia comunicativa di un’azienda?
Sì, ormai sono parte integrante del marketing mix. Molti sostengono che dipende anche dai prodotti dell’azienda, ma credo che il vero problema sia lavorare sui contenuti. Con questo e la targettizzazione si può raggiungere l’obiettivo desiderato. Lombardini è un’azienda italiana che vende motori e il calendario per il nuovo anno l’ha realizzato con le foto dei utenti perché ha lavorato su forum e blog scoprendo un vasto circuito di appassionati. Hanno lavorato sul concetto di tribù e i risultati si sono visti. Il problema è che oggi all’interno delle aziende c’è molto learning by doing, si impara facendo e di strutturato non c’è nulla. Una situazione che non è solo italiana ma anche europea, con l’eccezione della Gran Bretagna. C’è un grosso lavoro da fare sulle strutture aziendali anche perché questi strumenti cambiano ogni giorno e ciò che andava bene ieri forse non servirà più domani. È necessario creare delle professionalità interne alle aziende mentre oggi la strada maestra è quella dell’esternalizzazione. L’azienda preferisce non occuparsi della gestione dei social media e appalta all’agenzia. Questo può essere un problema perché la cultura aziendale, l’immagine, sono fortemente collegate all’utilizzo di Facebook o Youtube: sarebbe molto meglio utilizzare una figura interna. Nelle aziende statunitensi ormai più che una figura unica esiste una gerarchia interna che fa riferimento alle gestione dei social network.
Ma è sempre necessario essere presenti su Twitter, Facebook e Youtube contemporaneamente?
Di default si aprono tutti anche se spesso Twitter presenta delle difficoltà. Spesso non si va oltre il custode service. In verità non è necessario essere su qualsiasi social network: dipende da prodotti e contenuti. Il blog, per esempio, ha senso se esiste una dimensione qualitativa e se ci sono i contenuti. Se non ci sono queste cose non si crea engagement. L’area interessante oggi è quella dei social network tematici che offrono già una interessante segmentazione e rappresentano una strada interessante per il futuro.