L’ordine esecutivo firmato da Donald Trump per togliere ai social media lo scudo penale per i contenuti postati sulle loro piattaforme si scontra con la Federal communications commission. Il regolatore ha fatto sapere, tramite il presidente Ajit Pai (che pure è un “fedelissimo” di Trump), che la Fcc non appoggia la proposta del presidente degli Stati Uniti di modificare la legge che finora ha concesso l’immunità penale alle aziende come Twitter, Facebook e Google riguardo ai contenuti pubblicati dagli utenti.
Pai ha chiarito che si tratta di un dibattito importante e che la Fcc passerà a un attento vaglio ogni richiesta di nuova legislazione da parte di Donald Trump. Tuttavia fin dal 2018 il presidente della commissione aveva evidenziato che la Fcc non ha il potere di regolare i siti Internet come i social media. “Non possono essere regolati in termini di libertà di parola. Il governo non è qui per regolare queste piattaforme. Non abbiamo l’autorità per far questo”.
“Come conservatore, mi preoccupa che le grandi aziende hitech liberali soffochino la nostra voce”, ha dichiarato uno dei commissari Repubblicani della Fcc, Mike O’Rielly. “Al tempo stesso, credo fermamente nel rispetto del primo emendamento della nostra Costituzione, e la questione ha molto a che fare con questo emendamento”.
La commissaria Democratica Jessica Rosenworcel ha affermato che trasformare la Fcc “nella polizia del presidente sulla libertà di parola non è una soluzione. È ora che Washington si alzi in difesa del primo emendamento”.
L’ordine di Trump alla Fcc
La Fcc ha così espresso posizioni in netto contrasto con quelle di Donald Trump, che all’indomani della firma dell’ordine esecutivo ha detto: “Siamo qui per difendere la libertà di parola. Un piccolo gruppo di potenti social media in monopolio controlla una vasta porzione di tutte le comunicazioni pubbliche e private negli Stati Uniti”.
L’ordine esecutivo modifica il “Communications Decency Act”, una legge del 1996 che garantisce immunità penale alle piattaforme digitali rispetto ai contenuti pubblicati da terze parti.
Il decreto prevede che il dipartimento del Commercio presenti una petizione alla Fcc perché definisca il raggio di azione della “sezione 230”, la parte del Communications Decency Act che è stata tocca dal provvedimento e che, a detta di Trump, potrebbe “venire rimossa o totalmente modificata”. Viene inoltre ordinato alle agenzie governative di tagliare gli investimenti pubblicitari sui social media e alla Fcc di raccogliere le accuse di censura o faziosità perché vengano valutate.
L’ordine esecutivo potrebbe “non reggere”
L’ex commissario della Fcc Robert McDowell, Repubblicano, ha scritto su Twitter che la revisione della Sezione 230 “si basa sulla gestione delle conversazioni politiche sulle piattaforme digitali. È un terreno scivoloso. Non vedo come la proposta di Trump possa andare avanti”.
Un altro ostacolo è rappresentato dai tempi tecnici della revisione. All Fcc occorreranno alcuni mesi per l’analisi; farà seguito, molto probabilmente, una consultazione pubblica prima che la commissione metta nero su bianco la bozza della nuova regulation che propone. Per finalizzare le nuove regole potrebbe servire anche più di un anno e si slitterebbe oltre le elezioni presidenziali di novembre.
Nelle intenzioni di Trump la Fcc dovrà rapidamente proporre delle norme per stabilire che cosa costituisca un’azione in “buona fede” da parte dele aziende di Internet che rimuovono alcuni contenuti. Il presidente ha anche chiesto al Congresso di stralciare la protezione dalla responsabilità penale nella Sezione 230. Per emendare una legge occorre infatti il via libera del Congresso.
Secondo Trump i social media come Twitter attuano delle “decisioni editoriali”; cessano così di essere neutrali e diventano dei veri editori che esprimono opinioni. Per il presidente i social detengono “un potere incontrollato nel censurare, ridimensionare, editare, delineare, nascondere, alterare virtualmente ogni forma di comunicazione tra privati cittadini o con audience ampie di pubblico”.
Lo scontro con Twitter
Lo scontro fra Trump e i social media si è inasprito la scorsa settimana. Il presidente ha minacciato di chiudere tutte le piattaforme dopo che Twitter aveva definito “potenzialmente fuorvianti” alcuni messaggi di Trump. A sua volta il presidente americano ha accusato la piattaforma di intromissione elettorale.
Twitter ha messo in evidenza due dei tweet di Trump che affermavano che le votazioni per posta avrebbero portato a una diffusa frode degli elettori, invitando i suoi utenti a verificare. Il presidente ha replicato (non è la prima volta) che i social media mettono a tacere la voce dei Repubblicani e dei conservatori e danno maggiore risonanza a quella dei Democratici: avrebbero un “bias”, ovvero un pregiudizio, politico.