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Social shopping, Mangiaracina: “Non c’è spazio per tutti”

Il ricercatore della School of Management del Politecnico di Milano: “Troppi player in campo. Un problema, perché nel business couponing è fondante il concetto di massa critica”

Pubblicato il 30 Set 2012

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Quando si entra nel brulicante mondo del social shopping, a tenere gli occhi aperti non devono essere solo i consumatori, ma anche i siti del couponing e i negozianti. A spiegarci perché è uno dei massimi esperti italiani di e-commerce, Riccardo Mangiaracina ricercatore alla School of management del Politecnico di Milano. “L’arena competitiva è affollata: ci sono molti player sul mercato, ma temo che spazio per tutti non ce ne possa essere perché quello del couponing è un business dove il concetto di massa critica vale più che in altri settori”, spiega. “Occorre avere molti utenti registrati, per disporre di un vasto bacino su cui ‘sparare’ le offerte, ma non è così facile conquistare utenti in un mercato dove operano tra gli altri Groupon, Groupalia, Lestbonus, Prezzofelice, Jumpin, Poinx. L’utente non è disposto a ricevere nella posta elettronica le newsletter di tutti, quindi si affeziona al massimo a due-tre siti. Oppure usa aggregatori come Yoodeal. Inoltre se i player sono tanti, lo stesso esercente spalma le sue offerte su più siti e questo abbassa i margini di guadagno, ovvero la percentuale della transazione che i siti di couponing possono trattenere”.

Il mercato però muove già cifre importanti.

Possiamo parlare di una crescita del 40% annuo e di un valore di qualche centinaio di milioni euro.

Facebook invece ha fatto finora flop. Come mai? Non gli manca certo il bacino di utenti.

No, ma non dispone del secondo elemento critico per il successo del social business: un ricco bacino di offerte da proporre – e il reperimento delle offerte non è semplice perché ad oggi non c’è mai stata un’adesione spontanea da parte degli esercenti. Questi ultimi vanno stimolati e ‘attivati’ tramite una forza vendita sul territorio che li raggiunge e spiega i vantaggi del social shopping, ma pochi siti dispongono di una fitta rete commerciale sul territorio, che costa. Ecco spiegato il motivo del flop di Facebook Deals: c’è la massa critica degli utenti, ma non quella degli esercenti.

A proposito di esercenti, perché vanno convinti? E perché a volte riservano ai clienti dei coupon un trattamento di serie B?

Non tutti gli esercenti capiscono la reale natura del servizio di couponing e il suo vero vantaggio, che è farsi conoscere. Il primo obiettivo non è la generazione di fatturato, ma l’occasione per sfruttare un efficace canale di pubblicità investendo meno che con altre iniziative di comunicazione.

Da parte loro, i siti non possono controllare il servizio realmente offerto da ciascuno dei loro fornitori…

Gli esercenti sono tanti e diversi e verificare il livello di servizio diventa molto complicato, proprio perché i siti di couponing non sempre hanno una dislocazione capillare.

Qualcuno si chiede anche se i siti di couponing rappresentino un business sostenibile: i deals sono un affare anche per loro?

Il modello di business esiste ed è semplice: i siti trattengono una percentuale variabile sull’offerta – anche molto alta, fino al 40-50% – e se il coupon viene acquistato ma non consumato prendono il 100%. Ma non tutti i siti del settore sono profittevoli, anche perché molti appartengono alla fase di start up. E le spese non mancano: i siti del social shopping possono risparmiare sul personale commerciale sul territorio, ma devono pur sempre alimentare il sito con testi e immagini, produrre contenuto editoriale tramite persone capaci. Chi non lo fa rischia di proporre testi di pessima qualità e alienare gli utenti.

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