I lavoratori svolgono attività social sul posto di lavoro. Ma non vogliono condividerlo con nessuno: né con i colleghi, né tanto meno con il capo. Un utente su due (il 59% a livello globale e il 57,5% in Italia) non rivela la propria attività ai propri capi, ma neanche ai colleghi: il 52% delle persone in generale, e addirittura il 61% degli intervistati in Italia, preferisce non rivelare le proprie attività online nemmeno a loro.
Emerge dal Global Privacy Report di Kaspersky Lab, secondo cui il 90% dei lavoratori (in Italia oltre il 97%) si collega a internet più volte al giorno: “Difficile dunque – fa notare l’azienda – mantenere separate vita privata e professionale nel corso di una giornata lavorativa (e oltre)”.
Nel corso della propria vita, un dipendente trascorre in media un periodo di 13 anni e 2 mesi al lavoro. Quasi due persone su tre (64%) ammette di visitare ogni giorno dalla propria scrivania siti web non legati al lavoro.
Non sorprende quindi che quasi un terzo dei lavoratori coinvolti dalla ricerca sulla privacy digitale (29%) non voglia che il proprio datore di lavoro sia a conoscenza dei siti web che visita. Se si considera il campione italiano coinvolto nel sondaggio, questo dato sale al 37%.
Gli italiani sono ancora più attenti verso i colleghi: la percentuale arriva al 61%. In generale, questo significa che far sapere ai colleghi che si è perso del tempo nel corso del proprio orario lavorativo viene percepito come una minaccia addirittura maggiore per le proprie prospettive future.
Al contrario, per molti, l’attività sui social media sembra essere riferita ad una sfera meno privata e quindi più adatta alla condivisione con i colleghi, ma non con il proprio capo. Ciò avviene probabilmente perché i lavoratori temono di ledere l’immagine pubblica dell’azienda, o che quest’ultima, in caso di rilevamento della produttività dello staff, possa monitorare i social network dei dipendenti e utilizzare i dati trovati al loro interno per valutare eventuali avanzamenti di carriera.
Un ulteriore 34% non vuole mostrare il contenuto dei propri messaggi e email al proprio datore di lavoro. Il lavoratore italiano medio è ancora più attento a questo aspetto: il dato raggiunge il 43%. Inoltre, il 5% del campione consultato a livello globale (3,4% per quello italiano) ha affermato che la propria carriera è stata irrevocabilmente danneggiata dopo che le sue informazioni personali sono trapelate. Per questo motivo le persone si preoccupano di costruire una reputazione interna all’azienda che sia positiva e di non danneggiare le relazioni esistenti nel luogo di lavoro.
“Dato che al giorno d’oggi essere online è una parte fondamentale della nostra vita, è difficile fissare un limite tra vita digitale al lavoro e a casa – dice Morten Lehn, General Manager Italy di Kaspersky Lab –. Ciò non è né un bene, né un male. Bisogna semplicemente ricordare che, in quanto lavoratori, si deve stare sempre più attenti a ciò che si pubblica sui canali social e a quali siti web si usano al lavoro. Un’azione sbagliata su Internet può avere un impatto irreversibile e a lungo termine anche su un eventuale avanzamento di carriera”.
Per evitare problemi di questo tipo l’azienda consiglia di non postare nulla che possa essere considerato diffamatorio, osceno, privato o calunnioso; sapere che gli amministratori di sistema possono (almeno in teoria) essere informati delle abitudini di navigazione dei lavoratori; non molestare, minacciare, discriminare o screditare colleghi, partner, competitor o clienti; non postare fotografie di altri lavoratori, clienti, produttori, fornitori o prodotti aziendali senza aver avuto prima un permesso scritto. Viene inoltre suggerita l’adozione di sistemi di sicurezza, come Kaspersky Password Manager, per assicurarsi che i propri social media e gli altri account personali non subiscano un accesso non autorizzato da parte di qualcun altro in ufficio.