La detenzione senza licenza, o di licenze scadute, di programmi
commerciali per computer, riconducibili alla Microsoft e alle altre
big del software, non configura il reato di abusiva detenzione di
file sprovvisti di licenza d'uso, anche se all'interno dei
Pc vengono trovati i dispositivi di aggiramento tecnologico in
grado di far funzionare i software senza licenza, quelli che in
gergo vengono chiamati "crack".
A stabilirlo è stato il tribunale di Roma, V sezione, con il
giudice Laura D'Alessandro, che ha assolto un imprenditore
trovato in possesso di 270 programmi di tutte le più rinomate
aziende, tra le quali la stessa Microsoft ma anche Adobe,
Macromedia, Symantec, o altri, sprovvisti di licenza, distribuiti
su 103 computer tra cui server sui quali i software venivano messi
in condivisione a beneficio di tutti i dipendenti della
società.
Le società che si erano costituite parte civile nel procedimento e
avevano chiesto danni per centinaia di migliaia di euro, insieme
con la Business Software Alliance BSA (l'associazione che
riunisce le multinazionali del software), non avrebbero fatto
richiesta d'appello. Si è detto soddisfatto della sentenza,
l'avvocato Fulvio Sarzana di Sant'Ippolito, difensore
dell'imprenditore che era sotto accusa e che era stato multato
per migliaia di euro.
Il penalista ha spiegato: "E' stato ribadito un principio
importante, ovvero che la colpevolezza di un imputato non può
essere presunta ma deve essere provata senza alcun dubbio e che
nell'ambito della detenzione dei software ciò che conta è
l'uso che se ne faccia dello stesso software, in questo caso un
uso no-profit e non il semplice aspetto commerciale della
detenzione o meno di una licenza, ancorché scaduta".
Nel particolare, secondo quanto emerso dal processo, i software
venivano utilizzati nel settore della formazione, dunque in un
contesto non commerciale, da una società che era riconosciuta come
laboratorio di ricerca accreditato dal ministero
dell'università. Fra i corsi erogati alcuni riguardavano, tra
l'altro, l'educazione alla legalità nel settore della
proprietà industriale.
"L'impresa aveva collaborato nel passato con la stessa
Microsoft – ha ricordato Sarzana di Sant'Ippolito – Il
tribunale ha ritenuto che, senza la prova della duplicazione del
software da parte del mio assistito – ha continuato il penalista –
e senza la prova dell'effettivo uso sulle singole macchine dei
dispositivi di aggiramento tecnologico presenti sul server
dell'azienda, non si può configurare il reato di duplicazione
abusiva di software né la detenzione di software sprovvisti di
licenza d'uso e ha mandato assolto l'imprenditore con la
formula più ampia possibile ovvero il fatto non
sussiste".
L'imprenditore era imputato per illecita detenzione di
programmi informatici. La vicenda inizia nel 2008 e contro di lui
si erano costituite parte civile la Microsoft e la Business
Software Alliance BSA (l'associazione che riunisce le
multinazionali del software).
Secondo quanto emerso nel corso del dibattimento l'imputato
aveva regolarmente acquistato licenza per i programmi dei pc, salvo
poi trovare nelle apparecchiature dispositivi di
"aggiramento" tecnologico, i cosiddetti crack, per
permettere comunque di avere gli aggiornamenti dei programmi in
questione.