Spectrum review italiana? Ora sì, ora no. Si affacciano e scompaiono con magica regolarità, dalle varie bozze del Pacchetto crescita (che dovrebbe essere approvato dal Cdm di questa settimana) le disposizioni per dare il “la” al progetto per l’inventario dell’utilizzo delle frequenze nel nostro Paese. Già avviato nel 2007, ma mai andato in porto.
Secondo indiscrezioni è la Fondazione Ugo Bordoni l’organismo che potrebbe essere incaricato di portarlo a termine. Questo, almeno, compare in alcune versioni del “decreto Sviluppo 2” ancora in fase di messa a punto. Ma, e qui sta il giallo, non sempre. A intermittenza, appunto, l’operazione spectrum review appare e scompare dalle righe del testo. Questione di fondi? O di indecisi equilibri politici in una fase delicatissima per la gestione delle frequenze, così a ridosso come siamo della gara ex beauty contest e in pieno caos per la liberazione delle porzioni di spettro acquisite con l’asta 2011 dalle Tlc?
Di fatto il “settore frequenze” sconta in Italia una storica disattenzione. In Francia l’Agence Nationale des Frequences impiega oltre 250 ingegneri e tecnici specializzati. In Germania la gestione dello spettro è uno dei compiti dell’Autorità e impiega 2.600 specialisti nella regolazione dei sistemi a rete e vigila sui settori affini (energia, Tlc, servizi postali). In Uk l’Ofcom conta su 700 specialisti. In Italia sono poche persone, fra Autorità e ministero, a occuparsene, e con strumenti tecnici molto limitati.
In realtà la spectrum review, una ricognizione esatta delle risorse frequenziali nel nostro Paese, è tanto più urgente in un quadro europeo che sta velocemente evolvendo verso scenari a cui l’Italia non sembra voler adeguarsi. Molte nuove tecnologie vanno verso un uso non regolato della risorsa spettrale: ma funzioneranno solo nei Paesi che si saranno dotati di strumenti tecnici in grado di monitorare in tempo reale l’uso effettivo dello spettro. Insomma, in queste ore l’Italia potrebbe giocarsi un altro treno sul fronte innovativo.