Spotify pensa a sbarcare in borsa negli Stati Uniti entro la fine dell’anno, anche se non ha ancora preso una decisione definitiva su che strada scegliere per approdare sui mercati finanziari. Al momento la strada del “direct listing” sembra più probabile di quella dell’Ipo, l’offerta pubblica d’acquisto. Almeno stando a quanto trapela dalle indiscrezioni pubblicate dal Wall Street Journal, secondo cui la società svedese sarebbe orientata alla “quotazione diretta”, con le azioni che vengono registrate su una piazza finanziaria e vengono poi lasciate libere di essere scambiate. Con il direct listing, tra l’altro, la società potrebbe “risparmiare” i costi e le commissioni di un Ipo tradizionale, e riuscirebbe a evitare la diluizione del capitale tramite l’emissione di nuove azioni. Ma tra le controindicazioni ci sarebbe la possibilità che il titolo possa subire sbalzi consistenti e imprevedibili.
L’ultima valutazione che era stata resa pubblica di Spotify risale al 2015, quando la società aveva raccolto tramite un public placement un miliardo di dollari, e ammontava a 8,5 miliardi di dollari. Con la quotazione l’obiettivo sarebbe di arrivare a valere 10 miliardi di dollari.
Ma al di là della borsa Spotify continua ad allargare il proprio raggio d’azione: è di ieri un accordo con Universal Music grazie al quale gli utenti premium. Quelli cioè che pagano mensilmente per usufruire del servizio, potranno avere a disposizione gli album di alcuni artisti con un’anteprima di due settimane rispetto alla loro pubblicazione ufficiale. “Gli Artisti Universal – spiega Daniel Ek – possono scegliere se rendere disponibili i loro album agli utenti premium solo per due settimane, offrendo agli abbonati la possibilità preliminare di conoscere il loro lavoro completo, mentre i brani singoli saranno disponibili per tutta la platea di Spotify”