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Stampa 3D, la nuova rivoluzione industriale

Il 2013 sarà l’anno dell’adozione di massa: ecco le tappe della svolta nei processi di prototipazione e manifattura nei settori più disparati

Pubblicato il 11 Mag 2013

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Il 2013 sarà l’anno della stampa 3D: ne sono convinti gli analisti, gli imprenditori più lungimiranti e anche i makers di Stati Uniti e Europa che, antesignani del fai-da-te digitale, da anni attendono una diffusione mainstream di quella che finora sembrava una mania da fanatici di Star Trek. Le applicazioni, va sottolineato, non sono solo per appassionati che si stampano il mini-robot in garage: da qualche anno una piccola rivoluzione industriale è in atto in settori che vanno dall’aerospazio all’oreficeria e non solo per creare prodotti unici, ma in generale per innovare i processi di disegno, prototipazione e riparazione. In un prossimo futuro i pezzi di ricambio industriali non si spediranno ma si faranno stampare direttamente al cliente fornendogli le specifiche software.

Gartner indica che l’arrivo della stampa 3D nel mercato mainstream è vicino, sia per i professionisti che per i consumatori: le imprese potranno migliorare i sistemi di progettazione, creando nuove linee di prodotti per nuovi mercati, quindi anche per sistemi produttivi su ampia scala, mentre i consumatori potranno stamparsi da soli le loro cose o usufruire di punti vendita dove ci si reca con il file per trasformarlo in oggetto unico. Elemento chiave della svolta anche il calo dei prezzi che sta abbassando la soglia di ingresso: entro il 2016, le stampanti 3D di fascia enterprise costeranno meno di 2mila dollari, dice Gartner. Oggi la stampa in 3D è già un processo consolidato in settori come l’automotive, la produzione di beni di consumo, l’industria militare e quella medica e farmaceutica e si comincia a diffondere nell’alta moda. L’Italia ha diverse aziende con tecnologie per la stampa 3D riconosciute a livello mondiale. Il primo a usare le stampanti 3D in Italia, anzi in Europa, è stato l’imprenditore e ingegnere Ignazio Pomini: oggi dallo stabilimento di Trento della sua Hsl escono, con il marchio .exnovo, gioielli, lampade e applique di alto design. A Pisa, l’ingegnere Enrico Dini della Dinitech ha sviluppato D-shape, che stampa componenti di edifici usando una miscela di polvere di roccia o sabbia e collante: con questa stampante l’architetto olandese Janjaap Ruijssenaars, dello studio Universe Architecture di Amsterdam, realizzerà ad Amsterdam la Landscape House – un edificio sue due piani, per un totale di mille mq.

A Treviso, la Mbn Nanomaterialia spa ha brevettato una stampante 3D per i metalli che salda sia nanopolveri che materiali non nanometrici, permettendo di passare direttamente dal disegno del progetto al manufatto, con processi laser 3D che eliminano sprechi e scarti di lavorazione, rivoluzionando potenzialmente il processo industriale in quasi tutti i settori, spiega il fondatore di Mbn Paolo Matteazzi, ingegnere chimico e docente all’Università di Udine, perché “si valorizzano le caratteristiche dei materiali speciali e anche la creatività degli ingegneri che hanno la libertà di generare componenti con materiali innovativi e forme libere”. Secondo Matteazzi, l’Italia, “che ha una tradizione nelle macchine industriali, nella creatività e anche una forte propensione al digitale, può trarre grande vantaggio come sistema-paese dalla stampa 3D e in generale dalle tecniche di fabbricazione digitale”. Tanto che il professore ha proposto di inserire queste tecnologie tra le iniziative dell’Agenda digitale italiana, senza successo finora, ma non è detta l’ultima parola.

Sulle ripercussioni per il mercato consumer, però, non tutti sono d’accordo. Una stampante di qualità industriale, capace di stampare su materiali complessi, oggi costa diverse migliaia di euro. “La vera barriera sono i materiali e gli oggetti complessi”, indica Alfonso Fuggetta, ordinario del Politecnico di Milano. “Il fai-da-te non mi sembra imminente, o almeno mi sembra avere applicazioni limitate”.
Altri però corrono avanti. A Ivrea, l’industrial designer Massimo Banzi e l’ingegnere elettronico David Cuartielles hanno creato un open hardware, il microcontroller Arduino, piccolissimo circuito integrato (con memoria e unità di elaborazione), che i makers di tutto il mondo già usano da anni per farsi da sé oggetti intelligenti, perché dotati anche della componente elettronica. Unendovi la condivisione online di file e software, ecco che tutti hanno a portata di mano gli strumenti digitali di fabbricazione. Nel mondo esiste anche un migliaio di makerspace o fablab dove i produttori in 3D possono affittare per qualche ora laser, stampanti e frese e costruirsi il proprio oggetto; in Italia il primo nato è quello di Torino presso le Officine Arduino e in un anno ha realizzato 350 progetti.

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