Regge l’urto della crisi l’ecosistema italiano delle startup innovative. Nel 2020 hanno raccolto 683 milioni di euro, 11 milioni in meno rispetto al 2019. Il “freno” alle perdite arriva dai finanziamenti dei player istituzionali con una quota del 42% del capitale a disposizione mentre per la prima volta dal 2012 si bloccano a quota 36% – passando dai 248 del 2019 a 247 milioni del 2020 – quelli degli informali, business angel e venture capital. Emerge dall’Osservatorio Startup Hi-tech promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano in collaborazione con InnovUp – Italian Innovation & Startup Ecosystem – giunto alla sua ottava edizione e presentato in occasione del convegno “L’innovazione digitale non va in lockdown: alle imprese cogliere l’effetto startup”.
Secondo il report è la componente dei finanziamenti internazionali a determinare il calo degli investimenti nel 2020, passando da oltre 231 milioni di euro del 2019 ai poco più di 148 milioni (-36%).
“Se la speranza per il 2020 era quella di raggiungere o addirittura superare la soglia di 1 miliardo di euro di investimenti equity in startup hi-tech italiane, lo shock e la relativa crisi Covid hanno costretto l’ecosistema a fare i conti con una realtà ben diversa: dove la parola chiave non fosse necessariamente ‘crescita’ bensì ‘tenuta’ – dice Antonio Ghezzi, Direttore dell’Osservatorio Startup Hi-Tech -. L’ecosistema italiano in questo ha dimostrato di aver resistito innanzitutto grazie al supporto degli attori istituzionali, che hanno garantito l’erogazione di capitali anche grazie ad alcune operazioni straordinarie”.
Gli investimenti in startup hi-tech
Nonostante il taglio medio degli investimenti dei Venture Capital si abbassi rispetto all’anno passato, vedendo il 44% delle operazioni di valore superiore al milione di euro (rispetto al 66% del 2019), nell’ecosistema si rileva la presenza di 12 grandi operazioni superiori ai 10 milioni di euro che li coinvolgono. Nello specifico il 2020 ha visto lo sblocco del Fondo Nazionale Innovazione e del suo veicolo di investimento Cdp Venture Capital che ha contribuito all’ecosistema non solo in modo diretto, tramite investimenti in startup hi-tech ed erogazione di capitale per i fondi italiani (per un totale di oltre 100 milioni di euro nei primi 9 mesi del 2020), ma anche in modo indiretto, generando un clima positivo grazie al suo potenziale ruolo di segnale e supporto al rilancio.
“Rispetto al benchmark internazionale, che compara gli investimenti da parte di fondi Venture Capital in Italia con gli investimenti domestici da parte degli stessi soggetti in altri ecosistemi europei più maturi ed economie comparabili quali Francia, Germania e Spagna – dice Andrea Rangone, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Startup Hi-Tech -, la performance positiva dell’Italia nel 2019 consente di mantenere il gap sostanzialmente stabile, confermando la dimensione relativa dell’ecosistema italiano come pari a circa 1/10 rispetto al quello francese, circa 1/9 rispetto a quello tedesco e 2/5 rispetto alla Spagna (in lieve recupero). Rimane comunque una distanza significativa, che speriamo possa essere ridotta grazie al Fondo Nazionale dell’Innovazione e alle nuove iniziative di supporto; sarà interessante inoltre verificare il prossimo anno la tenuta da parte degli ecosistemi più maturi e strutturati rispetto all’emergenza sanitaria ed economica costituita dal Covid-19”.
Continua la crescita l’Equity Crowdfunding, passando dai 65 milioni di consuntivo 2019 agli 80 milioni di euro di preconsuntivo 2020 (+23%), a testimonianza di come il fenomeno sia sempre più affermato in Italia. Aumenta inoltre il peso relativo dei fenomeni di Club Deal, Angel Network e Angel Group peraltro in diverse circostanze in co-investimento con attori formali nazionali ed internazionali. Questa componente dell’universo degli informali (così come quella legata all’Equity Crowdfunding) potrà beneficiare dagli ultimi mesi del 2020 in avanti dell’articolo 38 del Decreto Rilancio, che innalza dal 30% al 50% le detrazioni fiscali per investimenti in startup innovative.
Infine, gli investimenti Corporate destrutturati (non afferenti a fondi Corporate Venture Capital formali) sono pari a oltre 65 milioni di euro nei primi tre trimestri del 2020 – contro i 60 milioni quantificati nel medesimo periodo del 2019 (+8%).
“Effetto startup” nella crisi Covid-19
Non basta: nel corso della pandemia le startup hanno anche saputo adattarsi alla crisi. Un terzo ha cambiato modello di business, il 63% ha attivato iniziative per l’emergenza, il 46% ha ottenuto nuovi clienti, il 44% ha accelerato lo sviluppo dei prodotti. Cresce inoltre la collaborazione imprese-startup e l’Open Innovation. Sono i dati della ricerca degli Osservatori Startup Intelligence e Digital Transformation Academy del Politecnico di Milano, secondo cui l’”effetto startup” in tempi di Covid si è concretizzato attraverso una serie di elementi. “Le startup italiane sono state le prime a mettersi a disposizione della collettività” dice Angelo Coletta, Presidente di InnovUp.
Censite 256 iniziative del panorama startup hi-tech italiano attive per fronteggiare l’emergenza sanitaria, coinvolgendo i settori più diversi (dalla digitalizzazione di processi ai servizi alle persone, dai sistemi di distanziamento allo svago, dal delivery ai dispositivi sanitari, dall’eLearning alla sanificazione degli ambienti). Addirittura, il 30% delle startup high-tech ha modificato il proprio modello di business durante la pandemia, nella maggioranza dei casi per rispondere a un nuovo bisogno del mercato.
“L’ecosistema startup ha mostrato alcune strade per fronteggiare la nuova quotidianità, mettendo in campo competenze, conoscenze, brevetti, prodotti e nuove soluzioni – afferma Alessandra Luksch, Direttore degli Osservatori Digital Transformation Academy e Startup Intelligence del Politecnico di Milano –. In alcuni casi le startup hanno sviluppato soluzioni per contrastare gli effetti della pandemia, pensando prima all’interesse della comunità piuttosto che al ritorno economico. Le imprese devono saper cogliere e valorizzare questa grande capacità di reazione al cambiamento”.
Patrimonio per la ripresa
“L’effetto startup che si è evidenziato nell’emergenza è un importante patrimonio da cogliere per la ripresa, sfruttando le opportunità di collaborazione in una logica di ecosistema – dice Andrea Rangone, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Startup Intelligence –. I segnali sono positivi: durante l’emergenza, mentre diventava evidente agli occhi di tutti il ruolo strategico dell’innovazione digitale, è cresciuto l’interesse per la collaborazione tra aziende, startup e istituzioni in risposta alla crisi, con una spinta all’Open Innovation, di grande rilevanza per lo sviluppo del nostro sistema imprenditoriale”.
Non sono mancate le difficoltà, il 38% delle startup ha dovuto ridurre le attività, ma il 46% ha ottenuto nuovi clienti e ha ampliato il proprio network, il 44% ha accelerato lo sviluppo dei prodotti/servizi e ottenuto visibilità sul mercato. Il 28% ha ampliato il proprio organico per fronteggiare l’incremento di attività emerso durante l’emergenza, o si è dotato di nuove competenze.
Imprese avanti sul digitale
Nel corso del 2020 la pandemia ha costretto a rivedere i budget per l’Ict rispetto a quanto pianificato in circa metà delle grandi imprese. Ma le previsioni di investimentoper il 2021 indicano una sostanziale tenuta, +0,89%, seppur con una riduzione del trend di crescita degli ultimi tre anni. Gli investimenti in digitale si focalizzano sulle priorità imposte dall’emergenza Covid-19: per le grandi imprese in particolare Information Security, Big Data e Analytics, eCommerce e Smart Working; per le Pmi al primo posto sale lo Smart Working.
“In una situazione difficile le imprese hanno compreso come non sia possibile prescindere dalla spinta digitale, diventata condizione essenziale di resilienza, mentre i gap di digitalizzazione hanno inciso sulla possibilità stessa di sopravvivenza – commenta Mariano Corso, Responsabile Scientifico della Digital Transformation Academy -. L’emergenza Covid19 ha avuto un impatto sulle priorità di investimento e sui budget dedicati all’innovazione, ma anche sull’organizzazione necessaria per stimolarla: l’obiettivo deve essere quello di farne cultura diffusa in azienda e favorire il coinvolgimento a tutti i livelli”.
Ben il 78% delle grandi imprese italiane oggi adotta azioni di Open Innovation, soprattutto iniziative Inbound. Quasi raddoppia l’adozione dell’Open Innovation da parte delle Pmi, raggiungendo il 53%. Si diffonde la collaborazione con le startup: un fenomeno presente nel 45% delle grandi imprese e nel 15% delle Pmi.
“Questi dati confermano una tendenza sempre più concreta tra le aziende ad instaurare partnership, forniture e progetti pilota con attori meno tradizionali, che spesso sono più agili e capaci di maggior collaborazione – dice Stefano Mainetti, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Startup Intelligence -. L’Open innovation si fa strada tra le imprese e le startup sono ormai riconosciute come partner validi, sia nelle fasi iniziali delle sperimentazioni sia per rapporti più stabili e strategici”.