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Stop ai Google Glass, e Wall Street fa pressing su Mountain View

Gli investitori vogliono più informazioni sulle sperimentazioni messe in campo dall’X Lab. Ma l’azienda difende la propria ricerca e rassicura gli investitori: “Puntiamo a creare un enorme impatto positivo sulla vita quotidiana delle persone generando nuovi rami di business. Non sempre è immediatamente evidente il modo di trarne guadagno”

Pubblicato il 19 Gen 2015

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“Siamo qui per esplorare i problemi più ardui che nessuno affronta e renderli prodotti concreti usati nel mondo di tutti i giorni”. E’ quanto sottolinea Chris Urmson, capo del progetto della self-driving car di Google in un’intervista con il Financial Times: Urmson precisa che il laboratorio di Google (il famoso Google X Lab) che sviluppa arditi progetti come quelli dell’auto senza conducente e dei palloni aerostatici per la connessione Internet non è un centro di ricerca per scienziati senza alcun contatto con la realtà commerciale, come vorrebbero molti critici.

Il laboratorio X e la sua capacità di sfornare prodotti “reali” sono tornati alla ribalta nei giorni scorsi dopo la diffusione della notizia che Big G ha sospeso le vendite dei suoi occhiali smart, i Google Glass, e sposterà lo sviluppo della loro nuova versione fuori dall‘X Lab – quasi a dimostrazione della tesi di chi sostiene che dal laboratorio non possono uscire prodotti per il mercato.

Anche Wall Street guarda con attenzione ai tanti progetti di Google e all’impatto che possono avere sui suoi margini di profitto: nei primi nove mesi del 2014, le revenues dell’azienda sono salite del 20%, ma i costi operativi sono schizzati del 30% e quelli per la ricerca e sviluppo del 35%.

Nonostante gli sforzi di Google di dipingere i cambiamenti per Google Glass come un’evoluzione necessaria per la commercializzazione del prodotto, molti analisti l’hanno letta come un flop degli occhiali smart. Ora, come noto, la versione 2.0 dei Google Glass sarà sviluppata sotto la guida di Tony Fadell, ex di Apple, e all’interno della divisione Nest smarthome.

Tuttavia, gli analisti sentiti dal Financial Times sono convinti che Google continuerà a portare avanti le sue sperimentazioni, a cominciare proprio dai wearables: “Certo che investiranno nei device indossabili, sono un’enorme opportunità. Anche se hanno fallito al primo tentativo, non c’è motivo per non riprovarci”, dice Mark Mahaney, Internet analyst di RBC Capital Markets.

Quello che è meno chiaro per gli analisti è quale sia la strategia di Google sulla gestione degli investimenti. Google X si fonda sulla convinzione che Google possa lavorare su idee rivoluzionarie e prodotti ambiziosi che sembrano tecnologicamente impossibili, e la sfida del lab è poi portare gli ingegneri a realizzarli. L’approccio è l’opposto di quello seguito da Apple, dove Fadell è stato una figura chiave nello sviluppo dell‘iPod: Apple parte dalla user experience e la tecnologia è messa al suo servizio. I prototipi restano in laboratorio a volte per anni e vengono svelati al pubblico sono quando sono pienamente rispondenti agli standard Apple.

Larry Page, co-fondatore e chief executive di Google, ha anche spiegato che in Google, e in particolare in Google X, viene lasciata piena libertà ai team manageriali di operare all’interno di unit indipendenti, sviluppando idee innovative. Wall Street però vorrebbe più dettagli finanziari su questi “arditi voli” di Big G: quanto costano e quanto potranno rendere? Page al momento dice di non voler fornire tali dettagli per non dare informazioni alla concorrenza.

Qual è poi lo scopo di queste ricerche condotte da Google? Creare soluzioni di ogni genere per connettere le persone a Internet, raccogliendo così più dati e vendendo più pubblicità, che sono per Google le fonti di reddito, dicono gli analisti. Ovviamente a Mountain View non la spiegano così: “Per Larry e Sergey lo scopo è solo risolvere problemi”, afferma Urmson, “creare un enorme impatto positivo sulla società che possa portare a nuovi importanti rami di business, anche se non sempre il modo di trarne un guadagno risulta subito evidente”.

Gli investitori di Google non possono fare altro che adattarsi e seguire le strategie di Page e Sergey Brin. “Accettare una dose di rischio è connessa col fatto di essere investitore di Google“, dice una fonte al FT. “Chi non vuole rischi, farà meglio a investire in un’altra azienda”.

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