LA SENTENZA

Stop ai software “indesiderati”, svolta o vittoria di Pirro?

La sentenza 19161/2014 della Corte di Cassazione ha condannato HP a rimborsare un consumatore fiorentino. Ma non per tutti sarà una passeggiata

Pubblicato il 30 Set 2014

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Davide ha vinto contro Golia, ma la sua rischia di essere una vittoria di Pirro. Un consumatore fiorentino che nel 2005 aveva fatto causa ad HP per ottenere il rimborso del sistema operativo Windows, che non aveva intenzione di utilizzare, si è visto riconoscere dalla Corte di cassazione 140 euro di rimborso più 6.200 euro di spese processuali a carico di HP. Ma la procedura che i venditori di pc hanno messo in piedi per far ottenere il rimborso ai consumatori che volessero installare un sistema operativo alternativo (tipicamente una distribuzione di Linux) è difficile e costosa. Senza contare che, se volessimo estendere il paragone al mondo degli operatori mobili e degli smartphone, le conseguenze potrebbero essere molto diverse.

Vediamo che cosa è successo. La Corte di Cassazione, con la sentenza 19161/2014, ha stabilito che “chi acquista un computer sul quale sia stato preinstallato dal produttore un determinato software di funzionamento (sistema operativo) ha il diritto, qualora non intenda accettare le condizioni della licenza d’uso del software propostegli al primo avvio del computer, di trattenere quest’ultimo restituendo il solo software oggetto della licenza non accettata, a fronte del rimborso della parte di prezzo ad esso specificamente riferibile”. La Corte quindi non ha accettato la tesi di HP, la parte chiamata in giudizio da un acquirente fiorentino che ha preso un pc con Windows Xp Home e Microsoft Work 8. Secondo HP infatti i pc quando vengono venduti insieme a un sistema operativo preinstallato, devono essere considerati come “un unico prodotto integrato”.

In caso di “pentimento sull’acquisto del pacchetto”, aveva sostenuto in sostanza HP, non era possibile restituire il software e tenersi l’hardware. I giudici della Corte hanno interpretato le norme contenute nel contratto di licenza dell’uso di Microsoft Windows (Eula) in modo differente: “L’integrazione tra software e hardware – hanno scritto nella sentenza – non si fonda su un’esigenza di natura tecnologica”, ma unicamente commerciale e dunque non ci sono ostacoli che impediscono la “considerazione frazionata dei due prodotti”.

Quali sono le conseguenze? Ovviamente ad essere tirata in ballo è Microsoft, il cui modello di business si basa prevalentemente sulla vendita di software. L’azienda prende atto della decisione dei giudici. In una dichiarazione ufficiale si legge che “i consumatori sono liberi di acquistare pc con un sistema operativo diverso da Microsoft o senza alcun sistema operativo. In ogni caso gli utenti possono trarre beneficio dalla pre-installazione di Windows sui pc, che offre la migliore user experience e consente di ottimizzare tempi e risorse legate all’installazione di un sistema operativo che funzioni correttamente. I produttori di computer sono liberi di vendere i pc con un altro sistema operativo pre-installato o senza sistema operativo. È importante precisare anche che gli accordi di Microsoft con i produttori non sono in esclusiva. I clienti che acquistano un pc con Windows pre-installato e poi vogliono restituire il pc e/o il software pre-installato devono fare riferimento alle clausole di recesso/rimborso dei vari produttori”.

Fra i tanti produttori e venditori di pc in Italia Acer è una dei pochi ad aver messo a disposizione sul proprio sito una procedura tuttavia piuttosto laboriosa: entro trenta giorni dall’acquisto bisogna non aver mai accettato le condizioni di licenza Microsoft, chiamare il call center e poi spedire una richiesta all’azienda. Il consumatore, una volta ricevuta l’approvazione dell’azienda, deve spedire a spese sue il pc a un centro di assistenza con i cd di installazione e la prova di acquisto, e poi ritirarlo sempre a spese sue. Il rimborso massimo è di 90 euro per Windows Ultimate edition, meno cioè di quanto stabilito dalla Cassazione.
Nelle prime fasi della causa tra il consumatore fiorentino e HP era stata chiamata anche l’Associazione per i diritti degli utenti e consumatori che segnala il fatto all’Antitrust, il quale a sua volta, nel 2006, conferma il diritto dei consumatori a farsi rimborsare le spese per i sistemi operativi non richiesti.

“Le conseguenze di questa complessa vicenda legale – dice Mattia Monga, docente di informatica esperto di sistemi operativi dell’università statale di Milano – hanno ramificazioni profonde anche se l’impatto economico probabilmente sarà limitato”. Infatti la corsa verso Linux in versione desktop si è arenata da anni e in realtà l’alto costo delle licenze di Windows ha semplicemente alzato i prezzi dei netbook più economici, rendendoli non competitivi con i tablet (Android o Apple).

Anche secondo l’Aduc l’effetto sarà più che limitato, ma questo dipende dal fatto che “la sentenza non ha conseguenze immediate e dirette sul comportamento dei produttori” ed è per questo che l’associazione suggerisce di “continuare a fare causa a chi non si comporta secondo buona fede nel tentativo di dissuadere il consumatore a ottenere il giusto rimborso”. L’associazione ha deciso di pubblicare sul sito un modulo per la “messa in mora e diffida ad adempiere per il rimborso della licenza d’uso Microsoft Windows non accettata”.

“Una cosa è certa – spiega Monga – e cioè che il sistema operativo influenza fortemente il funzionamento del computer, per cui è del tutto ragionevole che l’acquirente possa voler mettere il software che preferisce. Ed è ingiusto che si paghi ciò che non si vuole”. Il punto diventa interessante se si considera anche il settore dei tablet e degli smartphone. Qui secondo Monga entra in gioco un terzo attore: “Oltre ai produttori di sistemi operativi, che spesso sono gratuiti e quindi non possono dare adito a un rimborso ma semplicemente alla possibilità di essere disinstallati, ci sono anche gli operatori telefonici. Bisogna capire se hanno solo un ruolo tecnico di fornitori di connessione oppure se sono in grado di erogare servizi. E le modalità con le quali si ha diritto a recedere dai contratti”. Se i contratti bloccati (e sovvenzionati) di 24 o 30 mesi per gli smartphone sono effettivamente validi oppure no.

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