Perché l’intelligenza artificiale ha bisogno di uno storage flessibile e moderno? Per rispondere a questa domanda occorre innanzitutto fare un passo indietro, anzi due. Al di là delle numerose definizioni che affollano la Rete, l’intelligenza artificiale che vediamo oggi sul mercato fa riferimento a una serie di tecniche che consentono la progettazione di soluzioni capaci di fornire prestazioni spesso migliori e più rapide della mente umana, limitatamente a segmenti d’azione specifici. Dietro il funzionamento di questa tecnologia ci sono degli speciali algoritmi che sono capaci di trovare relazioni da diverse tipologie di dati, così da suggerire opportune azioni o addirittura metterle in atto automaticamente.
Da qui discende un altro assunto estremamente importante: senza dati a disposizione, strutturati o non strutturati, non esiste la possibilità di mettere in atto dei progetti di intelligenza artificiale. Osservando le cose da un’altra angolazione, è possibile dire che l’intelligenza artificiale può sbloccare il potenziale insito in tutti i dati: interni, esterni, strutturati, non strutturati, vocali e visivi, facendoli funzionare insieme. In questo modo le organizzazioni possono rendere migliori le proprie decisioni, comprendere i desideri e le esigenze dei clienti, comunicare in tempo reale e ottimizzare i processi aziendali. Non è casuale, dunque, che le imprese stiano cercando di estrarre informazioni di valore dai dati in proprio possesso grazie ai software AI, così da guadagnare un vantaggio competitivo sul mercato. Per fare tutto questo, però, bisogna avere a disposizione molti dati: inoltre, lo stesso funzionamento dell’AI genera a sua volta ulteriori volumi di dati in tempo reale, ponendo le imprese di fronte a pressanti esigenze di archiviazione.
Il ruolo chiave dello storage per l’AI
Ecco perché una tecnologia chiave per il funzionamento dell’Ict tradizionale come lo storage gioca un ruolo fondamentale per la buona riuscita dei progetti AI. È altrettanto chiaro che lo storage, per essere funzionale all’intelligenza artificiale, non può limitarsi alla semplice archiviazione dei dati, da tenere chiusi e al riparo dai pericoli, come prevedeva il modello classico. Al contrario, affinchè i sistemi AI possano effettuare le proprie analisi, le soluzioni storage devono permettere un accesso rapido e semplice ai dati. Inoltre devono essere abbastanza flessibili da superare l’attuale architettura ibrida presente nella maggioranza delle imprese, caratterizzata da una commistione di cloud pubblico, privato e on premise. In particolare, quando si fa riferimento ai dati non strutturati, tipicamente oggetto di analisi delle soluzioni AI, una soluzione utile è rappresentata dallo storage di oggetti, un metodo privo di gerarchie per l’archiviazione di dati, normalmente utilizzato nel cloud, in grado di supportare centinaia di petabyte. Altre due caratteristiche fondamentali per uno storage orientato alla AI sono la scalabilità (così da riuscire a gestire volumi crescenti di dati) e la convenienza: un costo di archiviazione dei dati eccessivamente elevato potrebbe infatti scoraggiare molte imprese a effettuare investimenti nella AI. Si tratta di due aspetti non certamente scontati per lo storage tradizionale, in cui i sistemi altamente scalabili risultano più costosi.
L’approccio di IBM
Questo tipo di approccio moderno allo storage, capace di favorire il viaggio verso l’Ai è stato affrontato da un vendor come IBM: le soluzioni oggi disponibili sul mercato sono pensate per aiutare a creare soluzioni AI ad alte prestazioni, convenienti e semplici da installare, nonché capaci di estrarre il maggiore valore possibile dai dati a disposizione. Del nuovo modo di concepire e disegnare lo storage ai tempi dell’Ai si parlerà in occasione di Storage IBM: Meet the unexpected, uno speciale evento on line (qui tutti i dettagli) in programma il prossimo 16 settembre a partire dalle 11.