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Supply chain, Perego: “Le aziende italiane devono diventare naviganti esperte, non bastano le tecnologie”



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Il percorso di innovazione deve fare il paio con quello organizzativo: nuove competenze, ridisegno e adattamento continuo dei processi le due variabili fondamentali. L’80% delle imprese end-user applica specifici Kpi per la valutazione delle prestazioni della propria catena ma solo il 33% usa Kpi tecnici ed economici

Pubblicato il 27 set 2024

Federica Meta

Giornalista



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Per rispondere tempestivamente ai continui cambiamenti dei mercati è necessario disporre di un sistema efficace di monitoraggio dello “stato” e delle prestazioni della Supply Chain, e le imprese italiane sembrano essere consapevoli di questa esigenza. In questo contesto l’80% delle imprese end-user applica specifici Kpi per la valutazione delle prestazioni della propria supply chain ma solo il 33% del campione misura un numero sufficiente di Kpi tecnici ed economici e l’11% dimostra un grado elevato di maturità con un sistema dedicato e in grado di tracciare efficacemente tutti i segnali, anche deboli. La fotografia è scattata dall’Osservatorio Supply Chain Planning del Politecnico di Milano.

Supply chain, digitale strategico

Nell’evoluzione dei processi di configurazione e pianificazione della Supply Chain è cruciale il ruolo del digitale, ma a livello tecnologico in Italia c’è ancora poca diffusione di strumenti avanzati, con la maggior parte delle imprese che non adotta nemmeno tecnologie disponibili da decenni come Mrp, Drp o Advanced Planning e Scheduling e continua a operare in manuale su fogli di calcolo agganciati a dati disponibili localmente.

“Nell’evoluzione della pianificazione nella Supply Chain le imprese italiane hanno ancora molta strada da compiere – afferma Andrea Sianesi, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Supply Chain Planning -. Dalla ricerca emerge una distanza tra le possibilità oggi offerte dalla tecnologia e dalla conoscenza manageriale codificata e le pratiche reali dalle aziende. Si evidenzia una carenza di cultura del dato e del disegno end-to-end del flusso applicativo, insieme a modelli di ottimizzazione ancora limitati a causa della grande complessità di gestione e a una certa ‘resistenza culturale’ al cambiamento. Alcune traiettorie seguite dallo sviluppo digitale non hanno aiutato: se i fondamentali tecnologici sono ampiamente disponibili, altre tecnologie come l’intelligenza artificiale (AI e GenAI) stanno facendo crescere la distanza tra annunci e realtà applicativa”.

Organizzazione chiave di volta

“Oggi parlare di una Supply Chain digitale significa considerare non solo un percorso tecnologico, ma anche organizzativo, per inserire nelle imprese nuove competenze di ri-disegno e adattamento continuo dei processi in relazione alle capacità crescenti della tecnologia – dichiara Alessandro Perego, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Supply Chain Planning -. Per essere competitive in uno scenario incerto, oggi, alle imprese italiane non basta essere innovatori nel prodotto, nel design, nelle tecnologie o nella qualità, serve diventare dei ‘naviganti esperti’ nei flutti globali delle catene del valore, con i migliori strumenti digitali e le migliori competenze”.

La maturità dei processi Supply Chain Planning

Più del 50% non misura le prestazioni in modo sufficientemente completo, ma si limita a valutare indicatori di prestazione tecnica, come puntualità e completezza. Solamente il 30% misura un numero sufficientemente completo di Kpi tecnici ed economici in modo da cogliere sia i segnali forti sia i segnali deboli, cioè quelli che possono essere percepiti solo dall’interno dell’organizzazione. Tra questi, il 19% prende in considerazione solamente i problemi più urgenti.
Questi dati testimoniano un grado di maturità relativamente limitato di molte imprese italiane nella conoscenza dello “stato di salute” delle proprie Supply Chain. Inoltre, una certa limitata maturità emerge anche quando si tratta di adottare strumenti tecnologici adeguati che permettano, in una prima fase, la raccolta dei dati e, successivamente, l’interpretazione degli stessi come supporto alle decisioni strategiche.

I ruoli aziendali

Il 54% delle pmi e il 67% delle grandi imprese hanno ruoli dedicati alla pianificazione della supply chain, una differenza modesta che si spiega con la maggiore capacità finanziaria e organizzativa delle imprese di maggiori dimensioni, oltre che a una maggiore consapevolezza sull’importanza di tali ruoli. Viceversa, un quinto circa delle pmi del campione (21%) non riconosce ancora la necessità di ruoli dedicati alla pianificazione della Supply Chain; nelle grandi imprese, questa mancanza di riconoscimento è molto meno diffusa (9%), a indicare una maggiore maturità gestionale. L’assenza di tali ruoli in alcune organizzazioni può indicare una bassa maturità organizzativa o essere anche l’effetto di una resistenza al cambiamento.
“Questi risultati suggeriscono che le grandi imprese hanno bisogno di una pianificazione formale della supply chain per gestire la loro maggiore complessità e ottimizzare costi e risorse – dichiara Roberto Cigolini, Direttore dell’Osservatorio Supply Chain Planning -. Nelle pmi, invece, la gestione della supply chain risulta meno strutturata e dipende meno da ruoli formali. Pertanto, la priorità attribuita a questi ruoli può essere naturalmente diversa: per le grandi imprese è fondamentale per mantenere competitività ed efficienza, mentre per le pmi potrebbe non essere una priorità immediata”.

La resistenza delle imprese al digitale

Le imprese italiane end user mostrano una notevole resistenza nell’adottare strumenti digitali avanzati per i processi di Demand Planning, Production Planning, Inventory Planning e Transportation Planning. La maggior parte non adotta ancora strumenti da decenni disponibili a supporto della digitalizzazione della supply chain, come Mrp, Drp o Advanced Planning e Scheduling, ma continua a operare in manuale su fogli di calcolo collegati a dati disponibili localmente. Anche a livello globale, secondo fonti esterne, ancora il 73% delle imprese utilizza fogli di calcolo per la pianificazione della Supply Chain, mentre il 53% delle aziende si affida a sistemi di APS tradizionali, oltre a fogli di calcolo a supporto e solo il 13% fa ricorso a software più avanzati.

I sistemi utilizzati dalle imprese

Secondo la survey condotta nel corso della Ricerca, il 39% delle grandi imprese ed il 18% delle pmi italiane utilizza sistemi di previsione basati su dati importati dai sistemi transazionali, utilizzando gli algoritmi specializzati al settore dell’azienda o sviluppati localmente. Nel processo di production planning, chi utilizza gli strumenti dedicati scende al 27% delle grandi aziende e addirittura al 6% delle pmi, con il resto del campione che si affida esclusivamente sull’esperienza oppure a fogli di calcolo. Stressa situazione anche per la gestione delle scorte: quasi metà delle imprese si affida a fogli di calcolo, un terzo utilizza pacchetti di business intelligence e una piccola quota (11% delle pmi e 22% delle grandi aziende) adotta strumenti più complessi con regole variabili nel tempo per i livelli delle scorte. Tra le grandi imprese, solo il 10% utilizza applicativi di statistica e analisi dati che elaborano informazioni provenienti anche da fonti esterne per simulazione ed ottimizzazione nella scelta dei modelli di gestione e relativi parametri. Circa un quarto delle imprese utilizza fogli di calcolo per la pianificazione dei trasporti, mentre solo una minoranza si affida a strumenti più sofisticati.

Le tecnologie digitali rappresentato un elemento cruciale per la pianificazione della supply chain – evidenzia Giovanni Miragliotta, Direttore dell’Osservatorio Supply Chain Planning – ma il loro vero valore emerge quando sono integrate in maniera coordinata e utilizzate in modo maturo, all’interno di una strategia di gestione più ampia che abbraccia anche il cambiamento organizzativo e il ridisegno dei processi di pianificazione. Solo così esse possono dare un contributo per affrontare efficacemente le sfide attuali e future, sfruttando le opportunità del digitale per creare supply chain resilienti e agili”.


L’identificazione dei rischi

Poco più di un quarto delle imprese italiane end user ha un processo strutturato per l’identificazione dei rischi e la definizione dei protocolli di mitigazione. Tuttavia, solo poco meno del 10% tra queste estende il processo a tutti i fornitori critici e appena il 3% utilizza un processo di tipo strutturato e proattivo in cui vengono analizzate le diversi sorgenti di rischio attraverso l’integrazione dei dati da fonti differenti. Il 42% non ha alcun processo strutturato per la gestione del rischio e si affida all’esperienza dei responsabili gestione degli scenari più complessi per l’attività d’impresa.


Revisione e riprogettazione della Supply Chain

La metà delle imprese del campione non utilizza alcun tipo di strumento dedicato per la riprogettazione della Supply Chain, ma fa affidamento sull’esperienza e la sensibilità dei suoi dirigenti. Questo dato raggiunge quasi il 60% nelle pmi ed è indice di una diffusa ridotta capacità di previsione e adattamento al mutato contesto economico e geopolitico globale. Tra chi ha processi formalizzati di revisione e riprogettazione, circa un terzo sia delle pmi sia delle grandi imprese si affida a strumenti di analisi e valutazione – sviluppati internamente o da specialisti esterni – per capire l’impatto delle principali decisioni strategiche, a prescindere dall’esistenza o meno di un processo periodico o continuo. Se si considerano livelli più elevati di maturità, il 15% delle grandi imprese si affida a strumenti più complessi di simulazione per scenari (what-if) e di ottimizzazione, valore che si dimezza(7%) nel caso delle pmi.

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