La crisi è finita, si dice, ma le aziende italiane sono ancora
alla ricerca di una boccata di ossigeno per ritornare a galla. Oggi
non basta più ottimizzare i processi interni e tagliare i costi e
la stessa integrazione verso i partner per migliorare la supply
chain deve trovare strade nuove.
“I sistemi informativi adottati dalla maggioranza delle aziende
italiane hanno portato indubbi benefici in termini di puntualità,
riduzione scorte, qualità del prodotto, valore delle merci a
magazzino in risposta al cliente. Ma all’integrazione interna non
sempre è corrisposta una adeguata integrazione esterna”, è la
diagnosi di Andrea Payaro, consigliere Ailog – Associazione
Italiana di Logistica e di Supply Chain Management.
La crisi ha però cambiato le carte in tavola, secondo Andrea
Sanisi, professore Ordinario di Supply Chain Management del
Politecnico di Milano e del Mip. “Le aziende italiane, a partire
dal 2000, per rispondere alla competizione, hanno seguito due
differenti strategie di sviluppo della supply chain – ricorda -. La
prima ha puntato alla riduzione dei costi di produzione attraverso
la delocalizazione produttiva, che richiede soluzioni di
coordinamento delle unità produttive remote; la seconda si è
basata soprattutto sull’efficienza interna, attraverso
l’adozione della lean production.
Entrambe le strategie hanno ottenuto successi in diversi settori,
ma oggi nessuna delle due basta più”. A fronte di una situazione
di sovracapacità installata (caso esemplare quello
dell’automotive) l’ottimizzazione dei costi non rappresenta
infatti più una soluzione. Il tema centrale diventa dunque,
secondo Sanisi, la pianificazione delle filiere e il focus va
spostato sull’incremento di visibilità delle informazioni e la
loro condivisione fra clienti, fornitori, fornitori di fornitori,
all’interno di catene logistiche sempre più lunghe…
Full story nel numero 16 del Corriere delle Comunicazioni in uscita
il 28 settembre