Il Covid non blocca gli investimenti delle Pmi italiane. Anche nell'”annus horribilis” 2020 il 52% delle aziende ha scommesso almeno in un’innovazione di prodotto, di processo od organizzativa. E il 73% delle piccole e medie imprese già utilizza tecnologie 4.0 o prevede di adottarle entro la fine del 2023. Emerge dal Market Watch Pmi di Banca Ifis (QUI IL DOCUMENTO) secondo cui l’innovazione adottata non consiste semplicemente nell’utilizzo di software, ma nella trasformazione di prodotti, servizi e soprattutto processi.
Cybersecurity al top degli investimenti
Entrando più nel dettaglio, il 31% delle Pmi italiane utilizza tecnologie legate alla cybersecurity, il 29% impiega invece un Crm per la gestione commerciale. Una su quattro si affida al cloud e il 16% ha investito nell’industrial IoT.
Sul podio degli investimenti 2020 macchinari (54%), formazione del personale (38%), Ict, software e servizi informatici (26%). Mentre nel prossimo biennio saranno privilegiati digitalizzazione dei processi (34%), sostenibilità (32%), gestione delle relazioni con i clienti (21%), R&S (21%), reshoring delle filiere di fornitura (12%).
Lo stato delle tecnologie avanzate
Sul fronte tecnologie avanzate, l’8% utilizza big data e machine learning, con un ulteriore 14% pronto ad aggiungersi entro il 2023, mentre il 7% utilizza già robot collaborativi e interconnessi, ma solo il 5% ha dimestichezza con la realtà aumentata. C’è infine un 1% che impiega nanotecnologie e materiali intelligenti, percentuale che è stimata in aumento di almeno 6 punti entro il prossimo biennio.
Miglioramento della qualità di prodotto e minimizzazione degli errori di processo fra i traguardi più attesi. Esigenza, quest’ultima, sentita in maniera particolare dalle aziende di maggiori dimensioni, tanto da divenire il primo obiettivo degli investimenti digitali per il 71% delle società con oltre 50 addetti. Tra le ragioni che spingono le piccole e medie imprese ad aprirsi al futuro ci sono anche l’aumento della produttività (41%), il miglioramento della sicurezza all’interno degli stabilimenti (27%), la possibilità di entrare in nuovi mercati o di lanciare nuovi prodotti (24%), l’opportunità di personalizzare l’offerta ai clienti o di garantire maggiore flessibilità.
Innovazione a doppia velocità
L’innovazione di prodotto, processo o organizzativa non ha tuttavia riguardato nella stessa misura tutte le aziende. A incidere sono infatti le dimensioni: nelle Pmi che contano tra 50 e 249 dipendenti la percentuale ha raggiunto il 70% ma anche nelle piccole (20-49 addetti) e micro imprese (sotto i 20 dipendenti) la quota di chi ha investito nella tecnologia è significativa con una penetrazione, rispettivamente, del 55% e del 47% dei casi.
Il settore produttivo ha un peso importante: tra quelli che maggiormente puntano sull’innovazione ci sono la Chimica e Farmaceutica, con il 76% delle imprese che hanno introdotto un’innovazione, il Sistema Casa (63%) e la Tecnologia (60%).
Modalità di reperimento fondi
Rispetto alle modalità di reperimento delle risorse economiche necessarie per sostenere gli investimenti, il 56% delle Pmi ha fatto ricorso all’autofinanziamento, mentre il 35% a finanziamenti di natura bancaria. Solo il 7% ha impiegato sostegni pubblici.
Ma l’e-commerce non decolla
Lo scenario non è altrettanto roseo sul fronte dell’e-commerce, che fra le Pmi stenta a decollare. Meno di una piccola e media impresa italiana su due vende online i propri prodotti, ma tante si preparano per debuttare nello shopping online. Il 35% delle imprese sta valutando l’apertura di una piattaforma digitale entro i prossimi 12 mesi.
La pandemia ha svolto un ruolo di acceleratore con il 26% delle aziende che utilizzano l’e-commerce da 12 mesi. I ricavi online valgono oggi circa il 9% del fatturato complessivo di una Pmi, un dato che per 6 imprese su 10 è in aumento rispetto al nel 2019. Tra i settori più attivi nelle vendite sul web l’agroalimentare (19%), la moda (16%) e la chimica-farmaceutica (16%). Le Pmi italiane sono spinte verso l’e-commerce dalla volontà di diversificare i canali di vendita (60%) e dalla necessità di andare incontro a specifiche richieste da parte della clientela (58%) ma il 29% delle aziende che sta valutando di adottare il commercio digitale ha spiegato che la ragione principale è “rendere più semplice l’attività di vendita a clienti esteri”.
Tra gli aspetti delle vendite online a cui fa attenzione la maggior parte delle aziende c’è l’impatto ambientale delle confezioni. In particolare, il 36% delle Pmi ha ridotto la quantità di materiali impiegati destinati all’imballaggio e il 30% ha scelto packaging riciclati o riciclabili. Gli elementi più problematici per due aziende su tre sono legati all’aggiornamento dei sistemi informativi e della dotazione tecnologica.
Per il 45% le difficoltà nascono dalla gestione del magazzino, il 42% fatica a formare il personale demandato a occuparsi del servizio e il 38% segnala problematiche nella certificazione della sicurezza dei pagamenti online. Costituiscono un ostacolo anche le difficoltà logistiche (15%), i costi di implementazione elevati (9%) e la mancanza di competenze interne all’azienda (8%). Ma alla base, l’80% delle imprese di minori dimensioni non ritiene la vendita online il canale adatto per la propria offerta di prodotto.