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Tariffe a 28 giorni, una storia già vista

L’avvio dei procedimenti sanzionatori da parte di Agcom rientra nel novero delle attività di sua competenza in qualità di autorità di regolazione rispetto a condotte ritenute in violazione della regolamentazione di settore. Ma nel recente passato era stata l’Agcm a sanzionare i principali operatori telefonici per il passaggio ad una diversa tariffazione. Il commento degli avvocati Picciano e Terranova

Pubblicato il 22 Set 2017

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Agcom ha avviato i procedimenti sanzionatori nei confronti dei principali operatori telefonici Tim, Wind Tre, Vodafone e Fastweb per il mancato rispetto della delibera adottata lo scorso marzo 2017 (Delibera AGCOM 121/17/CONS) ad esito della consultazione pubblica avviata nel 2016, la quale ha statuito che per la telefonia fissa e per le offerte convergenti l’unità temporale per la cadenza delle fatturazioni ed il rinnovo delle offerte debba avere come base il mese o suoi multipli.

Ciò avviene peraltro in pendenza del ricorso presentato al Tar Lazio contro tale delibera dagli operatori i quali hanno contestato l’esercizio legittimo dello ius variandi nei contratti stipulati con gli utenti – come peraltro statuito da una recente sentenza del TAR n.947/2017 – fermo restando il diritto di recesso che spetterebbe ai consumatori che non vogliano aderire alle nuove condizioni.

L’avvio dei procedimenti sanzionatori da parte dell’Agcom rientra nel novero delle attività intraprese da quest’ultima in qualità di autorità di regolazione rispetto ad una condotta attuata dagli operatori e ritenuta in violazione della regolamentazione di settore.

Nel recente passato però era già stata l’Agcm nell’esercizio dei poteri attribuiti dall’art. 27 comma 1 bis del Codice del Consumo, a sanzionare i principali operatori telefonici con multe fino ad 1 milione di euro (come nel caso di Vodafone sanzionata con provvedimento del dicembre 2016), per il passaggio ad una tariffazione periodica inferiore a quella mensile sia sulla telefonia mobile che sulla fissa rinvenendo nelle modalità di attuazione sottese a tale passaggio gli estremi di una pratica commerciale vietata.

Nel proprio provvedimento l’Agcm peraltro sottolineava che, così come evidenziato in fase istruttoria, per effetto delle nuove politiche tariffarie adottate nello stesso periodo dagli operatori in ordine alla riduzione del periodo di rinnovo delle offerte sulla base di 4 settimane e non più mensile, era stata notevolmente limitata la possibilità di poter reperire sul mercato offerte diverse rispetto a quelle strutturate sulla base di 28 giorni, con la conseguenza di vanificare la ratio sottesa all’esercizio del diritto di recesso nel caso di mancata accettazione di modifiche contrattuali, così come statuito dall’art. 70, comma 4, del Codice delle comunicazioni elettroniche.

Nel contesto del complesso ed ancora incerto riparto di competenze previsto, in tale ambito, tra Agcm ed Agcom analizzato, da ultimo, nelle sentenze n. 3 e 4 del 9 febbraio 2016 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato e dal recente protocollo d’intesa integrativo AGCM – AGCOM del 23 dicembre 2016, attualmente sottoposto al vaglio interpretativo della Corte di Giustizia Europea, si inserisce però un ulteriore tassello che è quello dell’esercizio dell’Agcm delle proprie prerogative a tutela della concorrenza e del mercato per evitare quelle distorsioni che possano portare a comportamenti abusivi delle imprese o a intese che alterino il libero gioco della concorrenza. Ciò secondo quanto previsto dalle disposizioni di cui alla L. 287/90. Ed è proprio questo il punto che sarebbe forse meritevole di approfondimento nell’attuale scenario che contrappone le authorities agli operatori.

Difatti anche nella variazione delle tariffe introdotta lo scorso marzo, i consumatori che avessero voluto esercitare il diritto di recesso si sono nuovamente trovati di fronte ad una mancanza di alternative effettivamente percorribili sol considerando che i principali operatori hanno modificato nel medesimo periodo la cadenza della fatturazione con un parallelo aumento implicito delle tariffe le quali, per effetto dell’aggiunta mensilità rispetto al precedente piano tariffario, subiranno incrementi medi stimati intorno all’8% annuo.

Se per un verso tale condotta determinerebbe nuovamente la sostanziale impossibilità di poter reperire sul mercato offerte diverse rispetto a quelle strutturate sulla base di 28 giorni, vanificando la ratio sottesa all’esercizio del diritto di recesso di cui all’art.70, comma 4, del Codice delle comunicazioni elettroniche per l’altro, qualora in tale comportamento fossero ravvisabili gli estremi di una pratica concordata ciò legittimerebbe l’attivazione di autonomi ed ampi poteri d’indagine da parte dell’Agcm sulla base dell’art. 2 della L. 287/90 che sancisce il divieto di intese volte ad impedire restringere o falsare il gioco della concorrenza sul mercato.

A questo punto ai consumatori non resterà che attendere gli esiti del confronto in atto, nelle diverse sedi, tra authorities ed operatori prima di valutare eventuali azioni in ristoro di un eventuale pregiudizio subito.

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