EQUO COMPENSO

Tassa sugli smartphone, i colossi hi-tech pronti a fare causa

I produttori di telefonini e dispositivi elettronici sul piede di guerra. Improbabile l’accordo con Franceschini. E secondo quanto risulta al Corriere delle Comunicazioni si annuncia battaglia legale contro la decisione del governo di adeguare le tariffe sull’equo compenso

Pubblicato il 09 Mag 2014

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Si annuncia una battaglia a colpi di carte bollate sulla vicenda dell’equo compenso. Secondo quanto risulta al Corriere delle Comunicazioni se, come altamente probabile, i grandi produttori di device per la riproduzione di contenuti multimediali e la Siae non arriveranno a un accordo il ministro Franceschini, altrettanto probabile è l’avvio a ricorsi e cause contro la decisione del governo.

Al centro della contesa c’è l’adeguamento delle tariffe dell’equo compenso per la riproduzione a uso privato e personale delle opere d’ingegno, una sorta di “royalty” applicata sui dispositivi (smartphone, tablet, pc, chiavette) che viene imposta ai produttori e il cui costo – lamentano le associazioni dei consumatori – va inevitabilmente a ricadere sugli utenti finali. L’importo viene raccolto dalla Siae che lo redistribuisce agli autori, per compensarli dell’eventualità che gli utenti usino i propri device per fare una “copia privata” di film o musica acquistati. Il nodo del problema è l’aggiornamento degli importi del diritto di copia, che sono fermi al 2012: oggi i produttori devono pagare 0,90 euro, ma seguendo quanto evidenziato dai risultati di uno studio condotto da un comitato consultivo sul diritto di copia negli altri Paesi, il Governo potrebbe moltiplicare di 4-5 volte la cifra, fino a portarla a 5,20 euro.

Nei giorni scorsi il ministro per i Beni e le Attività culturali, Dario Franceschini, ascoltato in audizione dalla commissione Cultura della Camera, aveva preso posizione: “Penso che la norma che ha istituito l’equo compenso sia giusta – aveva detto – Certo, si può anche pensare di modificarla, ma il principio lo sottoscrivo”. E qualche settimana prima, il 23 aprile, il ministro aveva anche tracciato la linea che aveva intenzione di seguire per risolvere il caso: “Ho auspicato fino alla fine che i player di settore trovassero un accordo – aveva detto – ma ho preso atto della distanza ancora esistente tra le differenti posizioni e dunque dovrò comunque emanare, anche in assenza di un’intesa, il relativo decreto ministeriale, così come previsto dalla legge”.

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