Tech company: il futuro è donna, ma il recruitment è ancora difficile

Alla prima edizione del Women’s leadership day di Avanade focus sul valore del management al femminile. Purassanta (Microsoft): “Motivare le persone e analizzare le situazioni a 360 gradi sono skill indispensabili per il business che verrà”

Pubblicato il 08 Lug 2015

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Più spazio alle donne nei board e nel top management delle tech company e di tutte le altre imprese. È puntando a questo obiettivo che Avanade, in partnership con Alpitour World e Mercedes-Benz, ha celebrato ieri sera nella sede milanese del car maker il primo Women’s leadership day, il kick off di un progetto che punta a promuovere la cultura della diversità e delle pari opportunità nelle grandi organizzazioni. Non si tratta solo di essere politically correct, o di declinare su temi di grande attualità la Corporate social responsibility: da Adam Warby, ceo di Avanade, a Carlo Purassanta, amministratore delegato di Microsoft nella Penisola, passando per Fabio Benasso, managing director di Accenture Igem (Italia, Grecia e mercati emergenti), la convinzione è che l’approccio femminile alle tecnologie potrà fare la vera differenza quando la tanto decantata disruption prenderà il sopravvento.

Ma già da ora si tratta prima di tutto di business. Adam Warby, parlando con il CorCom, ha sottolineato che secondo lo studio di un’associazione americana di sociologia, a ogni punto percentuale in più di diversity in azienda corrispondono tre punti percentuali di crescita. “Al momento in Avanade solo il 17% dei leader è donna. Noi puntiamo al 30%. Abbiamo già varato una guideline per cui per ogni nuova posizione aperta dev’esserci almeno una candidata donna, così come deve esserci una donna tra gli esaminatori che curano i colloqui”.

Sembra quasi una forzatura, ma anche Purassanta garantisce che non si può fare altrimenti: “Nell’IT la media delle risorse aziendali di sesso femminile è del 30% e in Microsoft siamo al 29%. Essere al di sotto della media, anche se di poco, ci ferisce, ma ci tengo a precisare che a livello del management la quota sale al 30% mentre è donna il 50% del leadership team. Ammetto che è estremamente difficile arrivare a questi livelli. Mantenerli è una lotta continua. Anche perché nel momento in cui si apre una posizione, di solito nove candidati su dieci sono uomini. L’azienda deve avere la volontà specifica di creare uno spazio per il genere femminile. Perché sostenere questo sforzo? Perché il mondo del business è entrato in un sistema di gestione a carattere valoriale, dopo essere passato per le fasi dello svolgimento di un task e del raggiungimento di un obiettivo, entrambe impostate secondo la logica maschile. Nel mondo di domani saper motivare le persone e riuscire ad analizzare le situazioni a 360 gradi saranno skill fondamentali. E sono skill prettamente femminili. Ma le donne in squadra servono anche per un motivo molto più banale: un’organizzazione economica deve rispecchiare il mercato a cui rivolge i propri prodotti e servizi. Quindi, al di là della questione di genere, nel nostro caso è necessario ricalcare la stessa diversità che contraddistingue il mondo con tutte le sue culture”.

È la stessa considerazione di Gabriele Burgio, presidente e a.d. di Alpitour World, che ha sottolineato che nelle famiglie il decisore d’acquisto per quanto riguarda i viaggi è di solito la donna. “Dunque è giusto che chi pensa ai nostri prodotti rappresenti il pubblico a cui i prodotti saranno offerti. Ma purtroppo, attualmente, nel comitato di direzione nessun rappresentante femminile”. In generale, in Alpitour lavora il 60% di donne e nelle operations il tasso di presenza femminile arriva al 70%. “Le posizioni da direttore d’hotel sono equamente divise tra maschi e femmine e abbiamo anche una donna pilota e una donna ingegnere, addetta alla manutenzione dei veicoli, nella nostra flotta. Ma dobbiamo fare ancora di più”.

Prendendo la parola, Fabio Benasso ha esordito dicendo che Accenture ha assunto circa 4mila persone negli ultimi tre anni e ne assumerà 2.400 nel corso del 2015. “Rivolgersi al mondo femminile non è un’opzione, le donne esprimono innovazione anche solo rispetto al tema della diversity, che è essenziale per ogni azienda. Per noi la difficoltà sta nel bacino della preparazione universitaria. Le nuove tecnologie, affamate di contenuti, daranno presto spazio anche alle lauree umanistiche, che nel nostro settore sono tradizionalmente deboli, ma obiettivamente, al momento, c’è carenza di profili femminili di stampo tecnico e scientifico. La sfida però”, ha continuato Benasso, “non è solo portarle a bordo, ma farle crescere e mantenerle nelle posizioni apicali. In Accenture c’è una diluizione della percentuale di forza lavoro femminile man mano che si sale la scala gerarchica. Le donne assunte pesano per il 40% dell’organigramma, ma sono solo il 30% in posizioni executive e il 20% tra i senior executive. Tra i managing director solo il 7% è di sesso femminile. La sfida dunque è aumentare la retention”.

Il progetto di Avanade intende muoversi su tutte queste direttive. Ma non solo. Attraverso la collaborazione con Oxfam, confederazione internazionale specializzata in aiuti umanitari e progetti di sviluppo, cercherà anche di tutelare o estendere i diritti delle donne anche al di fuori dei contesti aziendali e in aree del mondo dove la mancata emancipazione femminile è una delle concause della povertà. Tra gli ospiti di Anna Di Silverio, amministratore delegato di Avanade Italy, c’era infatti pure Laurie Adams, Ogb Director of Women’s Rights di Oxfam, che ha condiviso con il pubblico alcune statistiche e una case history all’insegna dell’Ict di cui è stata protagonista. “Solo tre delle 500 Fortune tech company sono guidate da donne, ed è un peccato, perché le organizzazioni guidate dalle donne generano maggiori ritorni sugli investimenti (nell’ordine del 20%) rispetto a quelle guidate dagli uomini che, tra l’altro, a livello mondiale, guadagnano ancora il 24% in più della controparte femminile, il cui potenziale rimane inespresso nel 50% dei casi. Non sembrerebbe, ma sta crescendo inoltre il gap tra gli uomini e le donne per quanto riguarda il possesso di uno smartphone: il delta oggi è sul piano globale di 350 milioni di unità”.

Ed è dedicato alla diffusione dei device uno degli ultimi progetti attivati da Oxfam in Cambogia. “Lo abbiamo chiamato Pink phone perché abbiamo distribuito tre smartphone di colore rosa ad altrettante donne di un villaggio cambogiano. Abbiamo sfruttato il cliché della contrapposizione tra rosa e azzurro per un semplice motivo: gli uomini non oserebbero mai appropriarsi di un telefono rosa! E così è stato: rimanendo in mano alle donne, gli smartphone sono serviti da una parte per ricevere aggiornamenti sui prezzi degli ortaggi al mercato, rendendo più competitiva l’offerta delle coltivatrici, dall’altra per accedere a servizi medici non disponibili nel villaggio. Ma in generale portare l’informazione nelle mani delle donne le ha aiutate a organizzare un potere collettivo e a combattere l’emarginazione”.

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