LA CLASSIFICA

Tech & digital: ecco le cento aziende candidate a diventare “big”

Nella mappa 100 Tech Challenger, Boston Consulting Group seleziona le imprese che si stanno distinguendo nei mercati emergenti per innovazione e capacità di sviluppare modelli di business di successo

Pubblicato il 07 Gen 2021

BCG Tech Challengers

Si sono affermate nei mercati emergenti e aspirano a sottrarre il primato globale ai colossi americani e cinesi. Hanno in media una valutazione di mercato di 6,3 miliardi di dollari e un fatturato di 2 miliardi, numeri inferiori a quelli dei concorrenti delle economie sviluppate, ma che crescono sei volte più veloci. Hanno nomi e attività ancora poco noti, come le assicurazioni dell’indiana PolicyBazaar, i servizi immobiliari della brasiliana QuintoAndar o i pagamenti digitali della kenyota M-Pes, ma tra loro potrebbe nascondersi la Apple del futuro. Sono i 100 Tech Challenger, le società selezionate per modelli di business innovativi e di successo nei mercati emergenti da Boston Consulting Group, che potrebbero diventare i colossi digitali di domani.

La nuova mappa dei Tech Challenger

La mappa di cento aziende scelte da Bcg per adozione di tecnologie, posizione industriale, modelli di business e capacità di trazione del mercato identifica una nuova geografia globale dell’innovazione. La Silicon Valley e la costa est della Cina, infatti, oggi sono indiscutibilmente i centri globali dell’economia digitale, ospitando sette delle prime dieci società al mondo per capitalizzazione di mercato. Ma da qui l’innovazione si è propagata anche in altri Paesi dell’Asia, del Medioriente, dell’America Latina e dell’Africa. I Tech Challenger hanno sede in 14 diversi paesi e rappresentano tutte le principali regioni del mondo: 40 si trovano in Cina, 17 in India, nove in Israele, otto in Sud Corea, otto in Sud-Est Asiatico, sei in America Latina e altrettante in Russia, Est-Europa o Asia centrale, tre in Africa, due in Turchia, una negli Emirati arabi uniti.

Due terzi operano in ambito B2c con app e servizi ai consumatori, un terzo nel B2b. Utilizzano un ampio ventaglio di tecnologie sia hardware che software (come cloud computing, social media, gaming, intelligenza artificiale, advanced analytics, sicurezza informatica, semiconduttori, robotica) nei settori più diversi, dall’istruzione all’assistenza sanitaria, dalla logistica ai servizi finanziari.

Hanno numeri ancora inferiori ai concorrenti nelle economie sviluppate, rispetto ai quali però crescono sei volte più veloce, aumentando il fatturato almeno del 70% ogni anno. Sea Group, sviluppatore di videogiochi online di Singapore, addirittura ha incrementato il giro d’affari del 163% fra 2018 e 2019 e moltiplicato 3,5 volte il valore di borsa da aprile di quest’anno, toccando i 72 miliardi di dollari. A differenza dei rivali d’Occidente, poi, i big tech emergenti tendono a collaborare fra loro creando ecosistemi diversificati per attività e geografia: secondo un’analisi di Bcg, i migliori ecosistemi digitali contano circa 40 partner e si estendono su dieci o più Paesi.

Dal garage al laboratorio

Se il sogno americano della Silicon Valley è nato di solito in un garage o in uno studentato, gli sfidanti tecnologici sono spesso creati “in laboratorio”. I Tech Challengers cinesi sono frequentemente finanziati dal governo, altrove sono frutto della collaborazione tra università, imprese e autorità pubbliche, come il polo industriale Block 71 di Singapore, lo Skolkovo Innovation Center in Russia, le realtà di Bangalore in India o di Israele. In altri casi, sono costole di grandi conglomerati che mettono risorse industriali e finanziarie al servizio di startup. Il colosso immobiliare indonesiano Lyppo Group, per esempio, ha sfruttato la sua banca dati di clienti e commercianti per lanciare un’app di servizi finanziari digitali, Ovo, da 115 milioni di download. La fintech cinese Ping An ha fatto leva sulla sua onnipresenza digitale per fondare Good Doctor, piattaforma di telemedicina che durante la pandemia ha decuplicato i suoi utenti. Talvolta, i big tech emergenti ottengono fondi dai corporate venture capital di giganti tecnologici cinesi e americani alla ricerca di nuovi mercati o intimoriti dalla loro invadenza nelle economie avanzate.

Le strategie per lo sviluppo

I 100 Tech Challengers adottano strategie di sviluppo diverse. Una parte offre soluzioni innovative a problemi specifici dei mercati emergenti, come l’indiana Byju’s, che supplisce alla mancanza di scuole nelle aree rurali del Paese con un’app per l’istruzione digitale a misura di studente: 40 milioni di utenti in 1700 cittadine e villaggi, per una valutazione di 5 miliardi di dollari. Altri puntano a ridurre inefficienze con nuovi modelli di business: la cinese Cainiao Network Technology ha creato un sistema di coordinamento digitale per operatori logistici, con un’unica piattaforma che gestisce presa in carico, pagamento e tracciamento delle spedizioni. Ci sono poi alcuni sfidanti tecnologici già punti di riferimento globali grazie a soluzioni d’avanguardia: la sudcoreana KakaoBank è stata la fintech più veloce al mondo nel raggiungere l’utile in soli tre anni con sistemi di pagamento innovativi e su misura di cliente quale la possibilità di dividere automaticamente fra amici il conto del ristorante.

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