Nei prossimi 20 anni lo sviluppo convergente di diverse nuove tecnologie rivoluzioneranno profondamente l’economia e la società. Si tratta delle “tecnologie di frontiera”, come intelligenza artificiale e calcolo quantistico, che spingeranno ancora più in avanti la trasformazione digitale. Per questo il ruolo, anche geostrategico, che i diversi paesi saranno in grado di ricoprire in futuro nel contesto internazionale sarà strettamente legato alla capacità di generare, avere accesso e utilizzare queste tecnologie di frontiera. È quanto si legge nello studio pubblicato dal think tank Centro economia digitale (SCARICA QUI IL REPORT COMPLETO).
Le evidenze riportate nel Rapporto suggeriscono che l’Italia, pur trovandosi in una posizione di debolezza come sistema nel suo complesso, mostra di possedere le potenzialità per accrescere la propria competitività tecnologica se sarà capace di fare leva sulla presenza sul territorio nazionale di grandi eccellenze sia nella generazione sia nell’utilizzo delle tecnologie di frontiera.
“Le tecnologie digitali“, scrive Rosario Cerra, presidente di Centro economia digitale, “rappresentano ormai una quinta dimensione strutturale, oltre alla terra, al mare, all’aria e allo spazio, attraverso la quale vengono veicolate e concretizzate le espressioni della sovranità nazionale o sovranazionale nel caso dell’Unione europea. E d’altra parte, come evidenziato in questo Rapporto, il digitale non è una dimensione strategica come le altre poiché non può essere vista come un dominio separato, in quanto attraversa, nel profondo, tutti gli altri. Per questo motivo le capacità sviluppate in questo ambito permettono di consolidare la propria sovranità nelle altre dimensioni”.
Tecnologie di frontiera: il quantum computing
Il report si suddivide in tre parti: Identificazione e analisi del sistema delle tecnologie di frontiera; Ruolo delle grandi imprese nella generazione e nell’utilizzo delle tecnologie di frontiera (con i contributi di Enav, Enel, Eni, Leonardo, Open fiber e Tim, e le Conclusioni con le proposte di policy da parte dei responsabili delle politiche pubbliche.
La ricerca offre un’analisi dei dati sulle pubblicazioni scientifiche o i brevetti per stabilire chi stia effettivamente guidando la corsa alla leadership in queste tecnologie, sottolineando l’importanza non solo della loro quantità, ma della diversa qualità.
La leadership tecnologica degli Stati Uniti nei settori chiave delle tecnologie quantistiche e dell’intelligenza artificiale è ancora ben salda e i progressi realizzati dalla Cina nell’ultimo decennio sono particolarmente significativi. L’Unione europea sta invece perdendo terreno e competitività. Ciò si traduce nella chiara necessità di accelerare ulteriormente sul fronte delle politiche industriali e dell’innovazione, sfruttando il potenziale di competenze e tecnologie di cui la Ue dispone.
Per le tecnologie quantistiche l’analisi che si concentra sulle sole Pubblicazioni con il maggiore impatto scientifico, “Top 1%” per citazioni nell’ultimo decennio (2013- 2022), vede al primo posto della classifica, con un margine molto significativo, gli Stati Uniti con il 47,3% degli articoli scientifici più citati aventi almeno un autore con affiliazione presso un’organizzazione americana seguiti dalla Cina (27,6%). La Germania, con il 17% stacca nettamente le altre economie Ue, tra cui Francia (7,4%), Spagna (5,7%) e Italia (5,5%). Di rilievo, infine, la performance dell’Inghilterra (12,1%) e del Canada (7,7%).
Per le tecnologie quantistiche sono stati, inoltre, analizzati i dati sui Brevetti triadici, ovvero quelli registrati in almeno tre dei quattro principali uffici brevettuali a livello globale. Si tratta, quindi, di quei brevetti per cui si cerca una maggiore protezione a livello internazionale, a significare un più alto livello qualitativo (e quindi un maggiore impatto economico e tecnologico) della conoscenza che si intende proteggere. Tra questi è stato, inoltre, individuato il “Top 10%” in termini di citazioni. Secondo questo indicatore la quota degli Stati Uniti è la maggiore con il 45,7%, la seconda posizione è del Giappone con il 23,3%, seguito dall’aggregato europeo a 27 paesi (18,4%) e dalla Cina, con una quota pari al 14,1%. Tra i paesi europei Germania, Paesi Bassi e Francia (con quote rispettivamente pari al 6%, 4,1% e 3,9%) ricoprono le prime tre posizioni, segue l’Italia con una quota pari al 2%.
L’intelligenza artificiale
Per l’intelligenza artificiale l’analisi realizzata esclusivamente sulle Pubblicazioni con il maggiore impatto scientifico nell’ultimo decennio (2013-2022) vede nuovamente al primo posto della classifica gli Stati Uniti con il 40,2% degli articoli scientifici più citati, seguiti dalla Cina (31,5%). Il terzo, il quarto e il quinto posto sono occupati, rispettivamente, da Inghilterra (con il 13,8%), Germania (con l’8,9%) e Australia (con il 6,8%). Per quanto riguarda l’ordinamento interno ai paesi europei, dietro la Germania ci sono Francia (3,9%), Paesi Bassi (3,8%), Spagna (3,7%) e Italia (3,6%).
Per l’intelligenza artificiale, guardando ai Brevetti triadici nel “Top 10%” in termini di citazioni ricevute, la quota degli Stati Uniti risulta essere la maggiore con il 52%. A distanza segue l’aggregato europeo a 27 paesi con il 17,5%, seguito dal Giappone (15,3%) e dalla Cina, con una quota pari al 12,6%. Germania, Francia e Paesi Bassi (rispettivamente 7,3%, 2,8% e 2,2%) occupano le prime tre posizioni nel ranking europeo, mentre l’Italia, con una quota pari allo 0,6% segue a distanza
L’analisi ha inoltre evidenziato che Stati Uniti e Cina stanno strategicamente direzionando i propri investimenti innovativi verso i settori delle tecnologie quantistiche e dell’intelligenza artificiale, rafforzando il loro primato. Al contrario, la dinamica recente registrata nell’Unione europea non risulta essere positiva, con un progressivo indebolimento del posizionamento europeo a livello globale.
Le proposte di policy per l’Italia e l’Europa
A partire dalle analisi sviluppate anche in collaborazione con le aziende socie, il report fornisce alcune proposte di policy.
- Allargare la scala a cui operano le filiere strategiche a livello italiano ed europeo. La dimensione delle aziende europee nei settori ad alta tecnologia non è spesso paragonabile a quella dei giganti tecnologici statunitensi o cinesi. Tuttavia, è possibile sfruttare i vantaggi derivanti dalle economie di scala favorendo la crescita della dimensione del sistema nel suo complesso, anche attraverso un quadro regolamentare a sostegno del consolidamento nei settori più strategici. Per questo lo sviluppo delle catene del valore strategiche deve rappresentare un obiettivo chiave della politica industriale dell’Unione europea, con strumenti quali i Competence Center, i Poli europei dell’innovazione digitale (Edih), gli Ipcei, le Alleanze europee, i progetti finanziati dalla Banca europea degli investimenti. Inoltre, si sottolinea l’importanza di affrontare le problematiche connesse all’approvvigionamento di materie prime critiche per lo sviluppo delle filiere strategiche e delle tecnologie di frontiera, la necessità di superare le resistenze circa l’istituzione di un Fondo di sovranità europeo, ma anche di adottare un approccio alle regole di finanza pubblica che consenta di escludere dai vincoli della politica di bilancio europea le spese nazionali effettuate per investimenti innovativi di interesse europeo. Nel nostro Paese operano in settori altamente strategici, come energia, reti di comunicazione e trasporti, sicurezza e aerospazio, aziende in grado di svolgere un ruolo propulsivo per tutto il sistema economico. Il nostro contesto normativo-regolatorio dovrebbe essere caratterizzato da un adeguato livello di certezza, con un orizzonte temporale pluriennale, e provvedere alla semplificazione burocratico-amministrativa.
- Potenziare le politiche industriali di filiera La presenza di grandi imprese in una rete di innovazione può migliorare le prestazioni dell’intera rete. In particolare, le grandi imprese possono svolgere il ruolo di “organizzazione hub” e garantire la creazione congiunta ed estrazione di valore nella rete di innovazione, sfruttando al meglio il potenziale delle tecnologie di frontiera. La realizzazione di partnership strutturate con aziende più grandi può fornire diversi importanti vantaggi alle imprese di minori dimensioni. Inoltre, si sottolinea in questo ambito il potenziale delle cosiddette “politiche di cluster” che possono contribuire a favorire la collaborazione tra grandi imprese, start-up, pmi e istituti di ricerca per creare cluster di innovazione.
- Rafforzare il sistema della ricerca italiano ed europeo L’esperienza dell’attuazione del Pnrr sta mostrando come non sia sufficiente identificare aree generali come la transizione digitale e quella ecologica per prevenire la frammentazione degli interventi a sostegno delle attività di ricerca. Sarà quindi opportuno fare tesoro di questa esperienza per aumentare la capacità di indirizzare i finanziamenti verso quelle aree e progetti di ricerca in grado di garantire i maggiori ritorni in termini di capacità di sviluppare significativi avanzamenti nell’ambito delle tecnologie di frontiera. Specialmente in questo settore è, tuttavia, necessario definire una strategia in grado di rendere strutturali i finanziamenti aggiuntivi resi disponibili in questi anni dal Pnrrr. Oltre al tema delle risorse si sottolinea come sia di fondamentale importanza che i programmi di finanziamento pubblico dedicati alla ricerca e all’innovazione, a livello nazionale e soprattutto europeo, siano in grado di trasformare le scoperte scientifiche in applicazioni industriali ad alto impatto economico.
- Assicurare la disponibilità di finanziamenti adeguati È necessario garantire la disponibilità dei fondi necessari per incentivare gli investimenti nelle tecnologie di frontiera e lo sviluppo di iniziative imprenditoriali su di esse basate. Oltre all’erogazione di fondi pubblici dedicati sarà sempre più importante fare leva sulle attività di venture capital sia a livello pubblico, tramite le istituzioni preposte, sia a livello privato. L’incremento della disponibilità di fondi venture capital privati potrà essere realizzato attraverso incentivi fiscali per gli investitori venture capital, la creazione di fondi di co-investimento pubblico-privato, lo sviluppo di un ambiente regolatorio favorevole o sostenendo programmi di accelerazione e incubazione. Rispetto a questo occorre ricordare che nell’attuale contesto di competizione internazionale sulle tecnologie di frontiera due aspetti saranno cruciali: la dimensione degli interventi per incrementare i flussi di capitale di rischio disponibili a livello paese; lo sviluppo di una cultura capace di valorizzare i processi di learning by failure e la capacità delle dinamiche di mercato di selezionare e promuovere le iniziative imprenditoriali di successo.
- Aumentare la disponibilità di competenze per lo sviluppo e l’utilizzo diffuso delle tecnologie di frontiera. Il potenziamento del sistema della formazione a tutti i livelli, dalla scuola all’università e al mondo del lavoro, costituisce una base di partenza a cui affiancare un’offerta ampia di programmi specifici e di alto livello focalizzati sui domini di conoscenza emergenti. È altresì prioritario aumentare l’efficienza complessiva del sistema, evitando la dispersione dei talenti formati o potenziali. Su questo sarà importante ampliare gli strumenti per sostenere le imprese nelle fasi di inserimento e formazione dei nuovi occupati che, specie nei settori ad alta tecnologia e per le mansioni più complesse, possono durare anche più anni. In parallelo, occorre compiere ogni sforzo per coltivare tutti i talenti disponibili, motivandoli e riducendo le diseguaglianze tra i cittadini e tra i territori nelle opportunità di accesso a programmi di istruzione e formazione di alto livello.
- Sviluppare un sistema di governance delle tecnologie di frontiera. Nel contesto delle tecnologie emergenti gli aspetti di governance assumono particolare rilievo a causa dell’alta incertezza in termini di sviluppo e implementazione, della molteplicità di percorsi di sviluppo possibili, dei molti attori coinvolti e degli elevati interessi sociali associati agli impatti di queste tecnologie. Il sistema di governance delle tecnologie di frontiera deve in primo luogo dotarsi di una capacità anticipatoria in modo da poter sfruttare i vantaggi delle nuove tecnologie ma anche ridurre o mitigare i rischi potenziali. Questo richiede la necessità di raccogliere ed elaborare informazioni utili per sviluppare strategie e politiche che incoraggino l’uso positivo della tecnologia e per evitare o ridurre le eventuali conseguenze negative associate allo sviluppo e all’uso delle nuove tecnologie.Si tratta evidentemente di un problema globale per cui è necessario lo sviluppo di un’intelligenza strategica globale, attraverso un’azione collettiva a livello internazionale. In questo ambito l’Unione europea può avere la capacità di contribuire in maniera decisiva alla definizione di regole facendo pesare la propria leadership in campo regolatorio. Tuttavia, la premessa perché si realizzi un tale processo è necessariamente legata alla costruzione di una vera visione comune tra gli Stati membri su come le tecnologie stanno evolvendo, Sull’AI, in particolare, si segnala la necessità di raggiungere un accordo quantomeno sulla regolamentazione delle applicazioni di intelligenza artificiale; di stabilire standard minimi a livello globale per evitare una corsa al ribasso nella protezione dei diritti fondamentali coinvolti; di adottare meccanismi proattivi e tempestivi per affrontare le violazioni dei diritti che possono derivare da utilizzi impropri dell’intelligenza artificiale.A livello italiano ed europeo, la governance delle tecnologie di frontiera dovrà inoltre necessariamente riguardare lo sviluppo di un’articolata attività di intelligence strategica finalizzata ad acquisire una migliore comprensione dei propri vantaggi tecnologici e degli eventuali gap esistenti sulle tecnologie di frontiera tra Italia, l’Ue, gli Usa, la Cina e le altre potenze. Infine, nell’ambito dello sviluppo di un sistema di governance delle tecnologie di frontiera, l’Unione europea dovrà potenziare e ulteriormente armonizzare la sua politica di controllo delle esportazioni, integrando i controlli delle esportazioni in un più ampio insieme di strumenti di sicurezza, come, ad esempio, la verifica degli investimenti, delle attività di cooperazione nella ricerca e trasferimento tecnologico, delle questioni legate alla cybersecurity.
Il Centro economia digitale è nato nel 2017 da un’idea del suo presidente Rosario Cerra, chairman & ceo di I Capital, e dall’impegno diretto del Preside della Facoltà di Economia della Sapienza Università di Roma prof. Giuseppe Ciccarone, del Preside della Facoltà di Economia dell’Università di Roma Tor Vergata prof. Giovanni Tria, del Direttore del Dipartimento di Economia dell’Università Roma Tre prof.ssa Silvia Terzi e del Direttore della Luiss Business School prof. Paolo Boccardelli.