LA SFIDA

Telco vs Ott, Brescia: “E’ ora di innovare le regole”

Il direttore Public and Regulatory Affairs di Telecom Italia: “Non serve estendere le norme che vincolano le compagnie di Tlc a Google & co. ma stabilire un vero e proprio level playing field”

Pubblicato il 28 Lug 2014

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Si produce più innovazione in strutture di mercato molto concentrate e/o poco regolate oppure in mercati concorrenziali e/o molto regolati? Schumpeter aveva concluso che investe di più in innovazione una grande impresa con potere di mercato, ma aveva anche teorizzato che l’innovazione determina un processo di “distruzione creativa” che rende il potere di mercato “effimero”, “non duraturo”, nelle industrie ad alta intensità innovativa. L’idea di fondo è che, in effetti, i mercati ad alta intensità innovativa – e possiamo senz’altro fare l’esempio delle reti e dei servizi di Tlc – tendono ad avere grandi imprese “market leaders”, ma allo stesso tempo questa leadership è altamente dipendente dalla superiore capacità innovativa, che richiede ingenti e continui cicli di investimenti. Di conseguenza, le imprese dominanti, nel lungo termine, non sono in grado di conseguire significativi extra-profitti.

La visione opposta, spesso associata ad un altro grade economista, Kenneth Arrow (1962), prevede che la concorrenza promuova più innovazione, in quanto il potere di mercato rende i manager meno inclini ad investire risorse nello sviluppo di nuove tecnologie, mentre le imprese che devono fronteggiare maggiore competizione possono attendersi maggiori vantaggi dall’innovazione.

Tra questi due estremi si collocano i contributi di molti altri economisti e degli studi empirici, secondo i quali la struttura di mercato che genera maggiore innovazione è l’oligopolio, in quanto le imprese sono incentivate a innovare perché possono beneficiare dell’innovazione, ma al tempo stesso l’innovazione si può diffondere, si diffonde, tra i concorrenti.

In ogni caso, non si deve, sempre e comunque, concludere che quanto più un mercato risulti competitivo tanto più generi innovazione. Ad esempio, le tendenze al consolidamento, in atto nell’industria mobile europea, vengono valutate favorevolmente dagli analisti (e sono state spesso consentite dalle autorità antitrust) anche perché si ritiene che mercati con 3 operatori mobili possano generare più innovazione e investimenti nelle nuove reti 4G dei mercati con 4 operatori.

Un’altra importante dimensione di analisi riguarda la concreta possibilità, per l’impresa innovatrice, di “appropriarsi” dei benefici dell’innovazione in misura adeguatamente superiore a quella dei concorrenti che non hanno né investito né rischiato (e si sono, quindi, limitati al cosiddetto “free riding”).

È evidente che la regolamentazione – se vuole promuovere anziché ostacolare gli investimenti – deve tenere conto anche di queste dinamiche competitive. Come? Tornando all’esempio delle reti TLC, è corretto assicurare l’accesso alle bottlenecks a tutti i concorrenti, ma in un quadro di regole che garantisca all’impresa che ha sostenuto il rischio dell’innovazione che l’utilizzo della nuova infrastruttura da parte dei concorrenti non possa pregiudicare un adeguato rendimento sul capitale investito.

L’altro aspetto da considerare è la rilevanza del ruolo del settore pubblico nell’innovazione. Se guardiamo al Paese che presenta il più elevato tasso di innovazione digitale, gli Stati Uniti, scopriamo che lo Stato ha avuto un ruolo decisivo. Basta leggere il libro di Mariana Mazzuccato e comprendere che innovazioni come la stessa Internet, il Gps, la comunicazione cellulare, i microchips, il touchscreen – poi sviluppate e sfruttate commercialmente dall’impresa privata – sono state tutte il frutto di programmi di ricerca e sviluppo finanziati dal Governo. Guardando all’Europa, il cloud computing, sviluppato come sistema di memorizzazione ed elaborazione diffusa di grandissime quantità di dati, e’ stato il frutto degli esperimenti di fisica nucleare del Cern. Da questi esempi si comprende perché tra gli obiettivi dell’Agenda Digitale europea sia stato inserito anche il raddoppio degli investimenti pubblici in ICT al 2020 rispetto al livello del 2007 (mediamente +5,5% annuo). Un obiettivo molto sfidante nell’attuale contesto dei bilanci pubblici e del rigore finanziario, ma che occorre , tuttavia, perseguire con tenacia e convinzione, poiché rappresenta una leva fondamentale per la crescita.

Con riferimento poi al rapporto tra innovazione e regolamentazione nel contesto delle nuove reti e servizi digitale, un primo assunto dovrebbe essere abbastanza chiaro: è difficile pensare che si possa ottenere il massimo dell’innovazione con il massimo della regolamentazione in capo al market leader o impresa con significativo potere di mercato.

Quindi, quali nuove linee guida dovrebbe darsi la regolamentazione in una fase di trasformazione storica – per il nostro settore, per il Paese e per l’Europa – che vede il passaggio dal “mondo del rame” al “mondo della fibra”? Possiamo davvero pensare che questa trasformazione epocale – che sta cambiando la nostra vita sociale ed economica – possa essere affrontata con lo stesso approccio regolamentare che ha “governato” l’apertura delle reti in rame degli ex-monopolisti? E, per di più, in uno scenario in cui il settore Tlc deve far fronte ad una pressione competitiva sempre più accentuata da parte dei “giganti” mondiali Over-The-Top (Ott), quali Google, Apple, Microsoft, Facebook, Amazon, giganti che sono in grado di offrire sulle loro piattaforme proprietarie (es. Android di Google e iOS di Apple) anche applicazioni innovative in grado di sostituire del tutto i servizi tradizionali di comunicazione (es. messaggistica e voce). E giganti che sottraggono quote crescenti di ricavi agli operatori Tlc, senza che dai settori Ott giungano contributi significativi agli investimenti per lo sviluppo delle reti broadband e ultrabroadband, e senza che queste attività innovative dell’economia digitale contribuiscano in modo adeguato alle entrate fiscali dei Paesi in cui viene generato il fatturato.

Con questo non si vuol dire che l’innovazione Ott non abbia contribuito e contribuisca allo sviluppo delle infrastrutture broadband e ultrabroadband, mettendo a disposizione degli utenti un numero crescente di applicazioni e servizi che stimolano l’utilizzo della rete. Immagino, però, che siamo tutti d’accordo nel ritenere che sia necessario cambiare modello regolamentare. Il problema è individuare la migliore soluzione possibile, per lo sviluppo delle reti, per l’innovazione nei servizi e, in definitiva, per i lavoratori e i consumatori.

Il primo punto su cui focalizzarci è che l’Agenda Digitale, che è il cuore della strategia Europa 2020, guarda correttamente, tanto allo sviluppo delle reti che dei servizi. Non è sostenibile, quindi, uno scenario in cui continuiamo ad avere, da un lato, infrastrutture di rete broadband e ultrabroadband “iper-regolate” e, dall’altro lato, applicazioni e servizi che viaggiano su questeconnessioni del tutto de-regolamentate.

La soluzione che auspichiamo non è quella di una estensione della regolamentazione ex-ante anche ai players OTT ma di stabilire un vero level playing field tra Telcos ed OTT agendo su due versanti. Da un lato, attenuando la regolamentazione sulle reti TLC e, dall’altro lato, assoggettando gli OTT alla medesima normativa di carattere generale su tassazione, data protection e sicurezza delle reti, applicata oggi alle Telcos e, di fatto evasa, dagli OTT..

Un altro tema cruciale che evidenzia lo stretto rapporto tra innovazione e regolamentazione è il tema dell’accesso alle nuove bottleneck rappresentate dai contenuti “premium”. Sappiamo bene che i servizi video sono un driver fondamentale per l’adozione delle connessioni ultrabroadband da parte delle famiglie. Tuttavia, gli operatori delle piattaforme televisive tradizionali (Dtv, Satellite, ecc.) spesso godono di un potere di quasi monopolio che non è sottoposto ad alcuna restrizione. Al fine di promuovere l’innovazione digitale sarebbe, invece, fondamentale introdurre delle misure finalizzate a promuovere la disponibilità di contenuti sulle nuove piattaforme della Internet-TV. In particolare, si potrebbe imporre un temporaneo obbligo di “must-offer” ai broadcasters per la distribuzione dei contenuti anche sulle piattaforme innovative, fino al raggiungimento di una data penetrazione.

Solo in questo modo si potrà favorire la crescita e l’innovazione sostenibile nel lungo periodo per il settore delle Tlc e, più in generale, dell’Ict. Si tratta di un obiettivo chiave per la crescita e lo sviluppo, in quanto, in Europa, il settore dell’Ict è direttamente responsabile del 5% del Pil (con un valore di 660 miliardi di euro) e, soprattutto, contribuisce per almeno 1/4 alla crescita della produttività dell’intero sistema economico (grazie ai rilevanti impatti sui processi produttivi di tutti gli altri settori dell’economia). Nello stesso tempo, l’impatto dell’Ict sulla vita sociale è diventato sempre più significativo; basti solo pensare che in Europa ci sono più di 250 milioni di utenti giornalieri di Internet e, in pratica, tutti i cittadini europei dispongono di un cellulare che consente la connessione ad Internet anche in mobilità.

L’Ict è settore importante per la crescita, l’innovazione, la creazione di nuovi posti di lavoro e la coesione sociale. Ed è per questo che Le aziende Ict, le market leader, in primis, andranno sempre considerate e valutate con attenzione dalle Public and Regulatory policies.

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