PUNTI DI VISTA

Telecom, per chi gioca il cda: per gli azionisti o per l’impresa?

Vivendi torna a investire in Telecom Italia. E vuole controllarne il consiglio di amministrazione: nessuno scandalo, è un suo diritto. Ma la prima responsabilità del board è tutelare gli interessi della società. L’analisi di Salvatore Bragantini

Pubblicato il 01 Apr 2016

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Una nuova stagione della Telecom story

Nuova puntata del serial di Telecom Italia (Ti), ove i nostri capitalisti non si sono coperti di gloria. Nel 1997 il “nocciolino duro” (Ifil e altri) si degnò d’investire su richiesta del governo che doveva privatizzare; sedeva su una miniera d’oro e non lo capì. Poi venne la mega offerta pubblica d’acquisto (Opa) dei capitali coraggiosi di Emilio Gnutti &C, vestiti con la livrea del Granducato, per un veloce capital gain esentasse. Meno bene andò a Pirelli e Marco Tronchetti, che da loro comprarono, perdendo infine una fetta dei lauti profitti dell’affare Corning Glass.
Dopo gli industriali, non fecero meglio i finanzieri; Intesa San Paolo e Mediobanca portarono la spagnola Telefònica, anch’essa uscita nel 2015 con una complessa operazione in cui ha acquistato Gvt, controllata brasiliana nelle telecomunicazioni di Vivendi, media company controllata da François Bolloré. In pagamento, Vivendi ha avuto dagli spagnoli 4 miliardi e l’8 per cento di Telecom. Pareva ovvio che, appena uscita dalle Tlc anche in Francia, cedesse quella quota. Invece, Vivendi torna a investire 3,5 miliardi nelle telecomunicazioni e arriva in Telecom al 24,9 per cento, a un passo dall’obbligo d’Opa; ora vuol controllarne il consiglio di amministrazione e inizia “dimissionando” l’amministratore delegato Marco Patuano.

Il puzzle telecomunicazioni-tv

Molto c’è dire sulla banda larga e altri temi strategici riguardanti Telecom Italia; ci si può dolere dell’ennesimo passaggio di controllo senza Opa, ma se, come pare preferibile per dar certezza al mercato, si fissa una soglia oltre cui scatta l’obbligo, tanti si fermeranno subito sotto.
Qui ci si vuol invece concentrare sul governo dell’impresa, tema sul quale le riflessioni si perdono in mille rivoli, scordando la questione-chiave. In caso di contrasto fra i due, il cda deve perseguire l’interesse dei soci o dell’impresa? Sul ricambio al vertice di Ti nulla da dire; chi investe tanto controlla il consiglio. A questo, però, è affidata la gestione: nell’interesse di Telecom, non già di Vivendi o altri. Qui è il punto chiave.
Bolloré, primo azionista non bancario di Mediobanca all’8 per cento, sta discutendo l’ingresso in Premium, pay-tv controllata da Mediaset – che smentisce; ma la zoppicante Premium ha bisogno di alleanze. È solo l’inizio: la stampa pullula di indiscrezioni, più che di notizie, su una grande alleanza fra Telecomi, Vivendi e Mediaset, nel nome della mitica convergenza fra Tlc e tv. Qualcuno include nell’affresco anche Orange, ex France Telecom, a cui Vivendi potrebbe conferire la quota in Ti. Nella sua campagna italiana Bolloré si avvale di Tarak Ben Ammar, tunisino amico di Silvio Berlusconi, per il quale si spese nei processi di Mani Pulite (Antonio Di Pietro lo definì “L’egiziano strano strano”). Tarak è proteiforme: presente nel consiglio di sorveglianza di Vivendi e nei cda di Telecom e Mediobanca, facilitatore in un ambiente nel quale si mischiano gli interessi di quelle imprese. Deve avere grandi doti per gestire a Parigi gli interessi di Vivendi, a Roma di Telecom e a Milano di Mediobanca; e non dimenticherà di chiedere un consiglio al vecchio amico.
In questo mobilissimo quadro, Inwit, controllata di Telecom e gestrice delle torri di trasmissione dei segnali telefonici, interessa a Ei Towers, controllata Mediaset. Ei Towers vuol comprare meno del 30 per cento di Inwit, evitando così l’Opa, per poi rientrare di parte dell’esborso vendendo alla stessa Inwit proprie torri per 200 milioni. Poiché la prima operazione è subordinata alla seconda, la Consob ravviserà probabilmente nell’accordo un “concerto” volto a schivare l’Opa, bloccando tutto. In campo per Inwit c’è anche un’altra offerta, della spagnola Cellnex e del fondo italiano F2i. Comprerebbero il 45 per cento di Inwit, lanciando un’Opa su un altro 40 per cento; Telecom conserverebbe il 15 per cento. Il prezzo per azione offerto da Ei pare aggirarsi sui 5 euro, quello di Cellnex sui 4,5 euro. Stranamente, i siti delle tre società quotate – Inwit, Ei e Cellnex – neanche menzionano le offerte.

Cda “tutore” di Telecom

Il cda di Telecom ha già sostituito Patuano con Flavio Cattaneo, indimenticato direttore generale della Rai berlusconiana. Il tema, sia chiaro, non è più il conflitto d’interessi dell’ex premier; che curerà bene i propri affari, come sempre, ma ormai politicamente svanisce.
La vera questione è chi penserà agli interessi di Telecom. Davanti ai grandi temi strategici sopra evocati, è strattonata in diverse direzioni, spinta dai tanti che le ronzano attorno.
Vivendi vuole un nuovo cda, è suo diritto, ma questo non potrà sfuggire a una grande, obbligata responsabilità. Prima che nel merito delle Opa concorrenti, non poi così importanti, è in quel groviglio incrociato che va trovato il bandolo degli interessi di Telecom. Scrive sul Corriere della Sera il 31 marzo Federico De Rosa: “Cattaneo dovrà fare un turnaround di Ti in attesa che Vivendi finisca di disporre le sue pedine per giocare la partita europea del riassetto dei media”: veristico, ma impietoso ritratto di una corporate governance malata. Cattaneo e tutto il cda dovranno fare solo quel che conviene a Telecom, che è una persona, sia pur giuridica, il cui interesse è affidato al consiglio di amministrazione: come un minore incapace, nell’interesse del quale opera il tutore. Sarà bene ricordarlo.

Tratto dal sito www.lavoce.info

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