l’editoriale

Telegram, le armi spuntate dell’Europa: “Non rientra nel Dsa”. Ma il tema non è questo



Indirizzo copiato

La Commissione Ue si “sfila” dalla questione demandando misure e azioni ai singoli Stati. Un approccio a dir poco fallimentare se davvero si vogliono contrastare fake news, crimini informatici e azioni illegali perpetrate attraverso i social media. Le chiacchiere stanno a zero

Pubblicato il 27 ago 2024



Europa – Commissione Ue – Unione europea

Con 41 milioni di utenti, dato del mese di febbraio, Telegram non rientra nelle cosiddette very large platform e pertanto non rientra nel perimetro del Digital Services Act. È quanto ha detto stamattina in una conferenza stampa il portavoce della Commissione europea per i servizi digitali, Thomas Regnier. “Stiamo analizzando attentamente queste cifre per assicurarci che siano effettivamente accurate. Siamo in costante confronto con la piattaforma e finora Telegram non è ancora designata. Ciò significa che per il momento spetta alle autorità nazionali assicurarsi che il Dsa sia correttamente implementato da Telegram”, ha puntualizzato il portavoce nel ricordare che l’arresto del fondatore, Pavel Durov, in Francia è avvenuto sulla base della legge francese.

La doppia faccia dell’Europa

L’Europa dunque si sfila? Al di là dei numeri è questa la linea? Scaricare sulle autorità nazionali misure e provvedimenti che riguardano non singoli stati e singole misure ma che vanno ben oltre i perimetri regolatori e afferiscono a una questione ben più sostanziale, ossia quella del rispetto di regole etiche e il contrasto alla criminalità? Sorprende, a dir poco, la posizione ufficiale della Commissione: una posizione che stride con tutte le dichiarazioni altisonanti e i progetti votati a contrastare fake news, cyberbullismo, frodi online, crimini informatici eccetera eccetera. Parole che appaiono vuote se non si va al nocciolo della questione: chiudere o quantomeno limitare l’uso di piattaforme che – lo sanno praticamente tutti – vengono usate sempre di più per scopi che vanno ben oltre quelli di “socializzazione” con tanto di gruppi organizzati guidati spesso da obiettivi abietti e nel peggiore (ma non inusuale) dei casi per azioni criminose.

Le chiacchiere stanno a zero

Sono 12 i reati che hanno provocato l’arresto di Durov che non può non sapere, ca va sans dire. Così come non possono non sapere gli alti responsabili della gestione della piattaforma: possesso di immagini di minore a carattere pedopornografico, acquisizione, nel trasporto, nel possesso, nell’offerta o nel trasferimento di stupefacenti, crimini informatici, mancata moderazione dei contenuti della piattaforma, nessuna azione per porre fine al traffico di droga sulla piattaforma e a contrastare la diffusione di contenuti pedopornografici. C’è da aggiungere altro? È possibile che l’Europa si preoccupi esclusivamente se ci siano o no i presupposti per agire in nome del Digital Services Act? Ed è possibile che non ci si renda conto di quanto sia fuori controllo la gestione dei social media? E non solo Telegram, sia chiaro. O qualcuno fa finta di non sapere che anche sulle altre piattaforme non ci siano sottogruppi e sottoboschi a dir poco “anomali”?

Il commissario Gentiloni parla di “visione ingenua”, sostiene che i social media non hanno svolto la sbandierata benefica funzione di fautori della democratizzazione delle informazioni. Ce ne eravamo accorti da tempo. Ma le chiacchiere stanno a zero. Gli Stati Uniti vanno avanti sui ban ai social “nemici”- la cinese TikTok in testa -, Cina e Russia da sempre vietano l’accesso a piattaforme considerate altrettanto “nemiche”, quelle americane a partire da Facebook. In Europa si è scelta la strategia del liberi tutti in nome della “democrazia”, ma i danni sono sotto gli occhi di tutti.

 

Articoli correlati

Articolo 1 di 5