«La PA italiana deve avere il coraggio di raccogliere la sfida della sharing economy per garantire maggiore efficienza dei servizi e condivisione da parte dei cittadini”. Veronica Tentori, deputata Pd e componente dell’Intergruppo Innovazione, spiega a CorCom i vantaggi che l’amministrazione potrebbe avere aderendo al modello “sharing”.
Qual è il valore aggiunto dell’economia collaborativa?
Si tratta di un modello di sviluppo che pone la comunità al centro dei processi e dei progetti, che vengono condivisi grazie alle tecnologie digitali e grazie alla Rete. Un modello, quindi, in grado di sostenere il piano di riforma della PA messo in campo da ministro Madia, la quale ha evidenziato la necessità di rimettere il cittadino al centro dell’azione pubblica.
La PA italiana soffre di un eccesso di burocrazia e di verticalizzazione. C’è spazio per la collaborazione?
La sfida è culturale prima che tecnologica. Bisogna partire dalla consapevolezza che conoscere e ascoltare, mettendo da parte i preconcetti, le contrapposizioni, può offrire un’opportunità da cogliere sia per combattere la crisi economica – attraverso queste iniziative è possibile creare nuovi posti di lavoro – sia per crescere dal punto di vista dell’innovazione, anche sociale. L’obiettivo complessivo dovrebbe essere quello della trasformazione della PA stessa.
A che tipo di trasformazione si riferisce?
Mi riferisco a una pubblica amministrazione che non si limita ad offrire un servizio, ma contribuisce a recuperare il senso di comunità in tutte le sue accezioni. Una comunità non solo da un punto di vista locale e globale, ma soprattutto più umano e sociale.
Come possono la politica e le istituzioni favorire questi processi?
Il nostro ruolo è prioritariamente quello di creare le condizioni, normative e culturali, per far dialogare la pubblica amministrazione con la comunità di riferimento e con l’impresa. L’imperativo di istituzioni e rappresentati politici è quello di conoscere, far conoscere e approfondire il cambiamento, di intercettarlo e, qualora fosse necessario, intervenire a livello legislativo. Credo sia arrivato il tempo di aprire una riflessione sulle nuove forme di “essere” pubblica amministrazione.
Che ruolo può svolgere l’amministrazione stessa?
Le pubbliche amministrazioni devono partecipare attivamente alla creazione di un’architettura che favorisca il radicamento dei modelli di consumo collaborativo come comportamento collettivo. In altre parole deve fare da da “megafono” delle iniziative, sfruttando le opportunità di relazione con i cittadini e le imprese. Volendo andare oltre, la PA deve farsi attrice primaria di partnership forti tra le iniziative di sharing economy e la cittadinanza. In questo scenario alle PA spetta il compito di verificare le principali esigenze di condivisione della cittadinanza, sulla cui base promuovere partnership con i soggetti privati che meglio interpretano quell’esigenza. Possono diventare soggetti abilitanti, in grado di promuovere le opportunità offerte dai servizi collaborativi, di facilitarle, ma anche di dare regole, senza imbrigliare un modello economico fondato tutto sulla disponibilità a fare, creare e condividere del singolo. Perché la sharing economy impone un cambiamento, non solo nelle modalità di consumo, ma più generale, anche nel modo in cui le comunità si percepiscono e si sviluppano.
Lei ha parlato di un possibile intervento a livello legislativo. Dove si dovrebbe intervenire?
Nella sharing economy le esperienza di impresa nascono dal basso, nella maggior parte dei casi sono di tipo non professionale. Una caratteristica, questa, che va valorizzata. Penso, dunque, a un quadro legislativo che consenta di “regolare senza soffocare”, creando condizioni di progressiva simmetria competitiva con i business tradizionali, ma anche evitando di richiedere un immediato allineamento, che costituirebbe un impedimento per i nuovi modelli di economia che popolano lo scenario dell’economia circolare. Allo stesso tempo va garantita adeguata tutela per il consumatore-utente.
Crede che gli italiani siano pronti alla rivoluzione dell’economia collaborativa?
Ci sono movimenti interessanti. E in questo senso sono i numeri a parlare. Secondo i dati di Collaboriamo.org l’Italia è apripista in Europa per quel che riguarda la disponibilità a condividere beni e servizi: il 53 % dei nostri connazionali è disposto, possedendo qualcosa, a metterla a disposizione di altri chiedendo un contributo che varia da un rimborso spese per il noleggio a una cifra più consistente per una vendita. Quindi direi di sì, sono pronti.